Tra poche ore Ursula von der Leyen stringerà la mano a Xi Jinping, provando a rimettere le relazioni tra Dragone e Vecchio continente in un’ottica costruttiva. Ma i nodi da sciogliere sono tanti, dalle banche ai dazi, passando per l’automotive
La missione è difficile. Ma non è detto che non riesca. Tra poche ore Ursula von der Leyen e Antonio Costa, rispettivamente presidenti di Commissione e Consiglio europeo, stringeranno la mano a Xi Jinping, per celebrare, ufficialmente il mezzo secolo di relazioni diplomatiche tra Bruxelles e Pechino. Un vertice ricco di significato ma forse povero di aspettative e che arriva in un momento di profonda turbolenza globale, tra l’incognita dei dazi, la guerra in Ucraina e lo spettro di una nuova crisi commerciale. Come detto, ufficialmente, l’incontro celebra i 50 anni delle relazioni diplomatiche tra Bruxelles e Pechino. Nella sostanza, è un tentativo, forse disperato, di evitare un deterioramento definitivo dei rapporti bilaterali.
Premessa. È la prima volta dall’inizio della guerra in Ucraina che l’Ue colpisce il sistema bancario cinese. L’azzardo di Bruxelles ha un peso notevole non solo perché dimostra l’intenzione di alzare il tiro. L’ultimo pacchetto di sanzioni contro la Russia approvato da Bruxelles, infatti, ha finito con l’impattare contro alcuni istituti del Dragone. E la voce da Pechino non ha tardato ad alzarsi. Il ministro del Commercio cinese Wang Wentao ha infatti tenuto un incontro virtuale nei giorni scorsi con il Commissario Ue per il Commercio e la Sicurezza economica Maros Sefcovic. In occasione del quale Wang “ha anche protestato duramente” contro la decisione di Bruxelles di includere due istituti finanziari cinesi nel suo pacchetto di sanzioni.
E non è che sul versante commerciale vada meglio, la tensione con il Dragone è palpabile. L’Ue denuncia da tempo, a ragione, squilibri strutturali nel commercio con la Cina, con un disavanzo commerciale che nel 2024 ha superato i 300 miliardi di euro. La maggiore capacità industriale cinese e il ricorso massiccio ai sussidi pubblici alimentano lo scontro. Per non parlare dei colpi sotto la cintura rifilati da Pechino all’Europa sul terreno dell’automotive. In ottobre, Bruxelles ha imposto dazi sui veicoli elettrici cinesi, accusando Pechino di dumping. La risposta cinese è arrivata sotto forma di indagini su brandy, carne suina e latticini europei. Le reciproche barriere normative si sono poi estese al settore dei dispositivi medici, esclusi dalle gare pubbliche su entrambi i fronti.
Con questo quadro, le aspettative sul vertice sono basse, ma von der Leyen è pronta a fare la sua parte. Giocando la sua partita anche su altri versanti, forse più morbidi. Bruxelles, per esempio, punta almeno a ottenere e portare a casa una dichiarazione congiunta sull’azione climatica in vista della Cop prevista a fine anno. “Questo vertice è un’occasione per avviare un dialogo con la Cina al più alto livello e per discutere in modo franco e costruttivo questioni che riguardano entrambi”, ha dichiarato lo stesso Costa pochi giorni fa. “Vogliamo un dialogo, un impegno reale e progressi concreti. Puntiamo a una relazione equa ed equilibrata che vada a vantaggio di entrambe le parti”, ha sottolineato. E Costa, proprio insieme a Ursula von der Leyen, capo dell’esecutivo europeo, cercherà anche di ottenere un allentamento delle restrizioni sulle esportazioni di terre rare cinesi, indispensabili per la produzione di telefoni cellulari e auto elettriche.
C’è chi sente già aria di flop. Un’analisi pubblicata su Politico, parla apertamente di assenza di risultati concreti e con posizioni inconciliabili tra le due parti, prospettando un “fallimento totale”. Insomma, non ci saranno discussioni sostanziali su temi economici cruciali come la sovraccapacità industriale, i controlli alle esportazioni o le tariffe commerciali. Al contrario, i partecipanti si limiteranno a uno “scambio di opinioni completamente incompatibili” riguardo alla guerra in Ucraina e, forse, ad accenni sull’azione climatica. Inoltre, Politico afferma che non è previsto alcun comunicato congiunto al termine dell’incontro, un chiaro segnale di mancata convergenza.
Eppure l’umore di von der Leyen sembra buono. Parlando di democrazia e mercato libero dal Giappone, dove è in visita prima di atterrare a Pechino, il capo del governo comunitario ha parlato di “costruire una nuova forma di libertà e indipendenza per il XXI secolo. Lavoriamo ogni giorno per proteggere la nostra democrazia dalle crescenti minacce che deve affrontare, che provengano dall’ascesa dell’illiberalismo in patria o dagli sforzi mirati per destabilizzarci da parte dei nostri avversari”. Nella definizione del suo concetto di libertà e indipendenza, von der Leyen ha voluto specificare che “l’indipendenza significa avere la libertà e la capacità di scegliere il nostro futuro, tagliare le nostre dipendenze e rafforzare le nostre vulnerabilità. E voglio sfatare il mito che l’indipendenza sia una strategia introspettiva. O che sia un ritiro all’interno dei nostri confini. In realtà, è vero il contrario”. Domani si vedrà.