“Il punto è che le forze al potere nei due Paesi coinvolti hanno tutto l’interesse a dare una ‘prova di forza’ in ambito militare per rafforzare la propria posizione; allo stesso tempo nessuna delle due parti coinvolte avrebbe alcun vantaggio ad estendere il conflitto ad altre aree che tendenzialmente hanno una maggiore rilevanza dal punto di vista produttivo e commerciale”. Conversazione con Paola Morselli, junior fellow dell’Ispi
Le tensioni accumulatesi da inizio anno tra Cambogia e Thailandia sono infine deflagrate nelle scorse ore, con lo scoppio di una serie di scontri armati tra le forze armate dei due Paesi in diverse aree disseminate lungo il confine, a cui sono seguiti attacchi arei lanciati dall’aviazione di Bangkok. Al momento si contano 15 vittime, mentre più di centomila civili sono stati evacuati dalle aree di confine. Cosa aspettarsi dai prossimi sviluppi? Paola Morselli, junior fellow dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, commenta la situazione con Formiche.net.
Quanto è alto il rischio di un ulteriore aggravarsi dell’escalation militare?
Le probabilità ci sono. Nei prossimi giorni potremmo vedere nuove operazioni militari, soprattutto da parte thailandese, con una risposta cambogiana che sicuramente cercherà di essere di pari grado. Allo stesso tempo, però, è difficile che nel breve periodo l’area interessata dagli scontri si allarghi oltre alle zone di confine. Il punto è che le forze al potere nei due Paesi coinvolti hanno tutto l’interesse a dare una “prova di forza” in ambito militare per rafforzare la propria posizione; allo stesso tempo nessuna delle due parti coinvolte avrebbe alcun vantaggio ad estendere il conflitto ad altre aree del Paese, che tendenzialmente hanno una maggiore rilevanza dal punto di vista produttivo e commerciale. Inoltre, qualora il conflitto si allargasse è probabile che altri attori regionali intervengano per placarlo.
Per quel che riguarda la Thailandia, si parla del rischio di un colpo di Stato militare. Quanto è concreto tale rischio?
Non è un’eventualità da escludere. Ricordiamoci che in Thailandia l’élite militare rimane una delle forze più influenti nel sistema-Paese, con un accesso a notevoli risorse economiche e politiche che gli permettono di influenzare la vita politica del Paese. Inoltre, la storia thailandese è costellata da colpi di Stato militari, l’ultimo dei quali è avvenuto nel 2014, quindi un simile sviluppo non sarebbe particolarmente sorprendente. Infine, in quetso momento il governo thailandese è molto fragile, e questo potrebbe “facilitare” la riuscita di un eventuale colpo di mano da parte dell’esercito. Ma allo stesso tempo, proprio per questa fragilità politica l’esercito potrebbe non ritenere di dover assumere il controllo diretto, ma di “controllare” il processo di policy-making attraverso un’influenza indiretta.
La fragilità a cui fa riferimento riguarda la sospensione, avvenuta poche settimane fa, del primo ministro thailandese Paetongtarn Shinawatra?
Anche, ma in realtà la crisi va avanti dalle scorse elezioni, vinte dall’emergente partito liberale “Move Forward”, che sfidava apertamente esercito e monarchia con l’obiettivo di ridurne l’influenza e di avviare un profondo cambiamento nel Paese. Tuttavia, attraverso una serie di escamotage politici culminati con lo scioglimento dello stesso partito da parte della Corte costituzionale, a “Move Forward” non è stato permesso di governare. Al suo posto è salito al potere il secondo partito più votato, “Pheu Tai”, che è il partito della famiglia Shinawatra, una delle dinastie politiche più famose del sud-est asiatico. Pur avendo posizioni più moderate rispetto a “Move Forward”, il “Pheu Tai” non è però particolarmente apprezzato da monarchia e forze armate, con le quali si è spesso scontrato. E questi scontri hanno contribuito a inficiare la tenuta dell’esecutivo. Quello di poche settimane fa in particolare.
Cos’è successo esattamente?
Sullo sfondo delle crescenti tensioni tra i due Paesi, con tanto di scaramucce militari, il primo ministro Shinawatra ha avuto una conversazione telefonica con Hun Sen, uno dei più alti esponenti cambogiani, nel tentativo di cercare una de-escalation. In questa conversazione Shinawatra ha usato termini molto deferenti verso Sen, denigrando al contempo uno dei vertici militari thailandesi. Quando la conversazione telefonica è stata divulgata la posizione del primo ministro, già debole, è peggiorata ulteriormente, al punto da essere sospesa dalla Corte costituzionale e di essere rimpiazzata da un primo ministro ad interim.
Possiamo ipotizzare l’intervento, militare o diplomatico, di altri attori regionali in queste dinamiche?
Secondo le ultime notizie, la Thailandia ha affermato di essere disposta a perseguire un negoziato bilaterale con la mediazione della Malesia. Ma oltre a quest’ultima ci sono altri possibili attori che potrebbero essere coinvolti. Uno è l’Asean, di cui entrambi i Paesi fanno parte e la cui presidenza è attualmente esercitata proprio dalla Malesia, che sicuramente ha tutti gli interessi a cercare di mantenere i rapporti più pacifici possibile per questioni economiche, ma anche per una questione di legittimità: l’esplosione di un altro conflitto, oltre a quello in corso in Myanmar, sarebbe infatti estremamente dannoso per l’organizzazione. L’altro attore è la Cina che, pur non essendo particolarmente focalizzata sulla questione, ed essendo più vicina alla Cambogia (mentre la Thailandia è invece più vicina agli Stati Uniti) ha tutto l’interesse a mantenere pace e stabilità nel suo circondario per logiche di carattere economico. Tuttavia, è probabile che come in passato la questione si estinguerà da sola col passare del tempo, senza andare a coinvolgere troppi attori esterni, oltre ai due Paesi coinvolti.