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L’accordo Usa-Ue sui dazi serve (anche) per contenere i Brics. Big Tech? Ora un compromesso. Parla Tosi

Mentre il commissario europeo Maroš Šefčovič è a Washington per disinnescare il rischio di una nuova guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, il confronto si fa politico prima ancora che tecnico. L’Europa cerca spazi di autonomia industriale e strategica, ma non può permettersi di spezzare l’asse con gli Stati Uniti. Sul tavolo: dazi, transizione green, industria della Difesa, ruolo delle Big Tech. Non possiamo permetterci una guerra con gli alleati e la linea di compromesso deve esserci anche con i giganti del web senza però che ci rimetta l’Ue. Colloquio con l’eurodeputato del Ppe, Flavio Tosi

L’accordo sembra vicino. Mentre Maroš Šefčovič, commissario europeo incaricato delle relazioni interistituzionali e ora anche responsabile per le politiche industriali, è a Washington per disinnescare il rischio di una nuova guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, il confronto si fa politico prima ancora che tecnico. L’Europa cerca spazi di autonomia industriale e strategica, ma non può permettersi di spezzare l’asse con gli Stati Uniti. Sul tavolo: dazi, transizione green, industria della Difesa, ruolo delle Big Tech. Un equilibrio fragile da costruire in un contesto geopolitico complesso. Pur nella consapevolezza che “una guerra commerciale fra Ue e Stati Uniti, danneggerebbe entrambi”. A dirlo a Formiche.net è Flavio Tosi, europarlamentare del Ppe (Forza Italia).

Il commissario Šefčovič è a Washington per scongiurare una guerra commerciale. Qual è la sua valutazione?

Penso che sia obbligatorio, oltre che utile per entrambi, trovare un accordo. Una guerra commerciale significherebbe farsi del male in maniera pesantissima. Oggi serve lucidità. Trump, all’inizio della sua esperienza da presidente, era molto ostile all’Unione Europea. Oggi i suoi consiglieri economici lo stanno portando a un atteggiamento più pragmatico: contenere l’espansione dei Brics significa anche tenere l’Europa dalla propria parte. Difendere l’Occidente non è solo una questione militare, ma anche economica. Giochiamo tutti con le stesse regole: questa è la vera sfida.

E sulle Big Tech, che ruolo gioca il compromesso?

Negli Stati Uniti chi vince le elezioni lo fa con finanziamenti molto consistenti. Quei finanziatori rappresentano modelli economici precisi, che spesso coincidono proprio con le grandi aziende tecnologiche americane sulla cui tassazione è in corso una valutazione. La strada è quella del compromesso: serve una soluzione che tuteli l’autonomia industriale europea senza trasformare la questione Big tech in un casus belli sui dazi.

Parliamo di Difesa. L’Europa, dopo l’approvazione in seno al vertice Nato del 5% della spesa, si sta realmente muovendo verso un modello più autonomo?

Sta facendo quello che deve. Si sta andando verso una riconversione industriale in chiave bellica, con aziende integrate che stanno ripensando la loro filiera. L’aumento delle spese per la Difesa va in questa direzione. Ma attenzione: Trump non può imporci di comprare le armi dagli Usa. Serve un’industria militare europea vera, finanziata con debito comune, sul modello del Pnrr. È una necessità reale, non ideologica.

Il Ppe si conferma centrale nelle logiche europee e anche nel rapporto transatlantico. Le parole del presidente Weber sul Corriere questa mattina sono significative. Quale sarà l’orientamento del partito sui dossier più delicati?

Il Partito Popolare Europeo è quello che sta segnando la svolta di questo nuovo quinquennio. Veniamo da cinque anni durissimi, condizionati da un’ideologia anti-industriale portata per lo più avanti dai Verdi che oggi non sono in maggioranza. In questo nuovo ciclo politico, il Ppe vanta ben 14 commissari. Sui dossier più strategici è naturale che ci sia un dialogo con Ecr, soprattutto con le forze più responsabili come Fratelli d’Italia. Meloni ha dimostrato un atteggiamento europeista. I Patriots sono un altro discorso, quelli sono distruttivi.

I Socialisti hanno minacciato a più riprese di far mancare la maggioranza a von der Leyen qualora si dimostrasse troppo accondiscendente alle istanze del centrodestra sul Green Deal. Una minaccia con fondamento o puro “gioco” al rialzo politico?

Oggi i socialisti rischiano di far mancare la maggioranza in linea teorica. Ma, guardandoci attorni, osserviamo che stanno perdendo terreno ovunque: in Italia, in Polonia, in Germania. Più si spostano a sinistra, più perdono consenso. Sarebbe utile che adottassero posizioni più pragmatiche, di buon senso. Altrimenti rischiano l’irrilevanza.

E l’Italia? Quanto pesa oggi a Bruxelles?

Molto più di prima. Abbiamo una premier forte, un governo coeso e credibile. La Germania ha vinto con il centrodestra, ma gli europarlamentari eletti sono quelli del 2024, non del 2025. Noi siamo allineati, siamo in una posizione solida. Tajani ha un ruolo fondamentale in questo contesto. Ecr di fatto è nella maggioranza: ora serve una vera volontà politica di costruire soluzioni condivise.


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