“Se davvero gli Usa si disimpegnano e l’Europa continua a dichiarare l’importanza strategica del sostegno all’Ucraina, l’Italia dovrebbe attivare tutti i suoi canali diplomatici e politici interni all’amministrazione americana per evitare quello che sarebbe uno strappo transatlantico molto pericoloso”. Conversazione con Giovanni Orsina sul ruolo di Ue e Italia nella guerra russa contro Kyiv, ma non solo. Bruxelles continua a stare ai margini, e questo prima o poi si paga
Chiamata a vuoto. Il colloquio telefonico fra il presidente americano Donald Trump e Vladimir Putin si conclude con un nulla di fatto. Mentre si moltiplicano i segnali di un possibile disimpegno americano dal conflitto in Ucraina, l’Europa appare ancora una volta incerta, poco incisiva, incapace di parlare con una sola voce. Quali conseguenze potrebbe avere questa situazione per l’Italia? E quale ruolo può ancora giocare l’Occidente in un contesto globale sempre più instabile? Formiche.net ne ha parlato con il professor Giovanni Orsina, storico e direttore del Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss.
Professore, come valuta l’attuale posizione dell’Europa rispetto al conflitto in Ucraina?
La mia impressione è che ci troviamo di fronte a una difficoltà crescente dell’Europa. Se gli Stati Uniti si sfilano, e i segnali in questo senso non mancano, sostenere l’Ucraina da soli diventa estremamente complicato per i Paesi europei. Gli Usa hanno avuto un atteggiamento altalenante, spesso ambiguo, ma l’idea di un disimpegno è una costante sotterranea, sempre presente nella comunicazione trumpiana. Se questo dovesse tradursi in un atto concreto, saremmo di fronte al primo segnale netto, inequivocabile, di disimpegno americano. E allora, sì, il problema si porrebbe in tutta la sua gravità, sia per l’Italia che per l’Europa.
E l’Europa, in questo scenario, come si sta muovendo?
Male. L’Europa balbetta, non riesce a prendere una posizione chiara e autorevole. Mancano una vera politica estera comune, una strategia condivisa. Soprattutto, sembrano insufficienti le capacità militari. E questo, in un momento in cui ci sarebbe bisogno di una risposta forte e coordinata, pesa enormemente.
Trump sembra aver incassato più porte in faccia da Putin di quanto non si dica pubblicamente. Questo cambia qualcosa nello scenario?
In realtà no. Il copione mi sembra già visto. Trump ha preso una serie di iniziative, ma Putin non dà segnali di voler interrompere la sua strategia. Non capisco se ci siano davvero elementi nuovi all’orizzonte o se stiamo assistendo a una riedizione di dinamiche già note. L’accordo tra Ucraina e Stati Uniti sulle terre rare è sicuramente interessante, un segnale di sostegno alla sovranità ucraina, ma anche questo va inquadrato in una realtà molto complessa e contraddittoria.
Quale potrebbe essere, allora, il ruolo dell’Italia?
Se davvero gli Usa si disimpegnano e l’Europa continua a dichiarare l’importanza strategica del sostegno all’Ucraina, l’Italia dovrebbe attivare tutti i suoi canali diplomatici e politici interni all’amministrazione americana per evitare quello che sarebbe uno strappo transatlantico molto pericoloso. È qui che si misura la reale capacità di persuasione del nostro Paese. L’Italia non può permettersi un’America lontana. E in un’Europa fragile, potrebbe anche rivendicare un ruolo proattivo nel tenere agganciati gli Stati Uniti al fronte occidentale. Naturalmente, è tutto da vedere che questa strategia possa aver successo.
Nel frattempo, l’economia americana sembra tenere, contrariamente a quanto si ipotizzava. Come la vede lei?
Sì, questo è un punto interessante. Nonostante le previsioni catastrofiche, il Congresso ha approvato il famoso “big beautiful bill”, l’economia americana regge, e con i dazi Trump riesce a portare a casa risorse che potrebbero permettergli persino un taglio della pressione fiscale. Da liberale non ho mai amato i dazi, intendiamoci, ma – almeno per il momento – non si può negare che abbiano avuto un impatto economico concreto. È un risultato, questo, che Trump rivendicherà con forza.
E l’Ue su questo fronte come si muove?
Male anche qui. È entrata nelle trattative sui dazi con grande debolezza. Ma era debole già prima. Non è autonoma sul terreno della difesa, dipende in larga parte dagli Stati Uniti, è un continente esportatore e politicamente frammentato.
Ultima battuta sull’operazione americana in Iran: un’azione violenta, ma risolutiva. Che messaggio manda?
Il messaggio è chiaro: c’è ancora una sola superpotenza al mondo. L’operazione è stata brutale, ma efficace. Gli Stati Uniti, se vogliono, possono ancora cambiare le regole del gioco. L’Europa, invece, continua a restare ai margini. E questo, prima o poi, si paga.