Dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, l’industria della difesa americana sta vivendo un’accelerazione senza precedenti. Attraverso una serie di ordini esecutivi, un uso estensivo del Defense Production Act e l’impiego senza precedenti di tecnologie disruptive, Washington sta rimodellando il proprio tessuto industriale, non solo per ridurre i ritardi e rilanciare la produzione, ma anche per renderlo in grado di sostenere un impegno ad alta intensità e di lungo termine
C’è fermento nella macchina produttiva americana. Dal suo ritorno nello Studio Ovale, Donald Trump ha avviato una campagna sistematica di rilancio dell’industria della difesa, la quale non punta unicamente a riportare gli States a una dimensione produttiva capace di sostenere un impegno bellico ad alta intensità — magari con la Cina —, ma anche a sfruttare appieno le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie applicate al settore della Difesa.
Il tutto tramite una sequela di ordini esecutivi, incentivi, deroghe normative e un ritorno massiccio all’uso del Defense Production Act (Dpa). L’accelerazione voluta da Trump non è settoriale, riguarda l’intero spettro delle capacità belliche statunitensi. Dalla produzione di munizioni per artiglieria e armi leggere ai nuovi vascelli della US Navy, dai droni (di ogni taglia e configurazione, terrestre, aerea e navale) all’ammodernamento della triade nucleare, passando per i satelliti e i nuovi caccia di sesta generazione, Washington sta mobilitando la sua industria pesante.
L’arsenale burocratico di Trump
Fin dai primi mesi del suo secondo mandato, Trump ha firmato una serie di ordini esecutivi pensati per sbloccare le catene di approvvigionamento e liberalizzare le capacità produttive del comparto difesa. Il più significativo, datato 9 aprile, impone al Pentagono di riformare radicalmente i processi di acquisizione: via le lungaggini burocratiche, spazio a soluzioni commerciali già esistenti, ampliamento degli strumenti di rapid acquisition e un uso massiccio degli Ota (Other transaction authority), pensati per lavorare con startup tecnologiche e soggetti non tradizionali.
A cascata, altri ordini hanno interessato settori specifici. Uno ha autorizzato l’uso straordinario del Dpa per rilanciare l’estrazione di minerali critici sul suolo americano, essenziali per produrre droni, circuiti elettronici e componentistica avanzata. Un altro ha varato il Maritime Action Plan, con l’obiettivo di rivitalizzare la cantieristica americana, penalizzata da anni di ritardi nelle consegne e cortocircuiti relativi al finanziamento dei programmi in seno al Congresso.
Il fattore emerging tech
Gli effetti dell’accelerazione che Trump ha deciso di imporre all’industria della Difesa americana sono già visibili. Una schiera di startup ed emerging tech hanno ottenuto commesse per la costruzione di impianti automatizzati dedicati alla produzione di componentistica aerospaziale e missilistica, alcuni con un rapporto uomo/macchina che arriva a rasentare il 1 a 10. È il caso di Anduril, azienda specializzata in IA e sistemi autonomi, che ha avviato la costruzione di una mega-factory in Ohio dal valore di oltre un miliardo di dollari.
Parallelamente, altri operatori del comparto tech come Palantir e Shield AI stanno vedendo aumentare le commesse per sistemi basati sull’intelligenza artificiale, non solo per il targeting e il decision-making, ma anche per il potenziamento dei mezzi cosiddetti legacy. A questo si aggiungono una serie di misure volte a rendere completamente “indigene” (in gergo tecnico) le catene di approvvigionamento, impiegando tecnologie di stampa 3D che sfruttano materiali facilmente reperibili negli Usa. Bye bye materie prime cinesi.
Anche il settore navale è uno dei protagonisti di questa riconfigurazione. Con uno stanziamento di oltre 34 miliardi di dollari, sono previsti nuovi sottomarini classe Virginia, cacciatorpedinieri classe Arleigh Burke, fregate classe Constellation (costruite da Fincantieri su modello delle Fremm italiane) e una nuova generazione di veicoli autonomi, sia subacquei che di superficie. In più, le summenzionate emerging tech stanno venendo schierate anche in questo settore per rimettere in carreggiata le consegne — ormai sommerse dai ritardi — e aumentare l’efficienza dei bacini di carenaggio, quello che la Casa Bianca definisce il “Rinascimento” della cantieristica made in Usa.
Un’industria sotto steroidi?
Quello che si sta delineando non è solo un potenziamento quantitativo, ma una vera e propria mutazione qualitativa dell’ecosistema industriale americano. Gli ordini esecutivi stanno creando un quadro normativo favorevole per attrarre il capitale privato, semplificare la burocrazia e favorire un ciclo di innovazione permanente nel comparto, mentre l’aumento del budget del Pentagono (che potrebbe superare il trilione di dollari nel 2026) garantisce già da ora una prospettiva di continuità negli ordini.
Tra campagne promozionali in cui il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, figura attorniato da quadricotteri Fpv e la nomina di Cfo delle emerging tech a ufficiali di complemento delle Forze armate, non stupisce che la Casa Bianca parli apertamente di “Peace through strength”.
Quello in atto è un vero e proprio sommovimento tettonico nell’industria della Difesa americana. Se questo modello si consoliderà sul lungo termine, gli Stati Uniti potrebbero non solo recuperare lo scarto industriale con Pechino, ma anche mettere in campo una base industriale della difesa capace di sostenere anni di impieghi operativi. O, quantomeno, capace di sostenere la moral suasion (che di moral ha ben poco) di Trump fino al 2028.