La Fondazione Lilly per l’Italia ha presentato a Roma il piano “30×30”, che prevede il finanziamento di trenta dottorati di ricerca dedicati alle politiche sanitarie in altrettante università italiane. L’obiettivo è formare nuove competenze capaci di integrare le evidenze scientifiche nei processi decisionali. Federico Villa, direttore generale della fondazione, ci spiega come
La capacità di integrare evidenze scientifiche nei processi decisionali rappresenta una delle sfide centrali per la sostenibilità e l’equità dei sistemi sanitari. In un contesto in cui l’innovazione tecnologica accelera e le esigenze di salute pubblica si fanno sempre più complesse e numerose, il mondo della ricerca è chiamato a giocare un ruolo strategico nella formazione di competenze capaci di tradurre i dati in politiche efficaci. Per questa ragione è stato presentato ieri nella capitale il rilancio della Fondazione Lilly per l’Italia. Il nuovo piano decennale prevede un investimento complessivo di 1,5 milioni di euro per finanziare trenta dottorati di ricerca dedicati alle politiche sanitarie in trenta università su tutto il territorio nazionale. A cosa punta l’iniziativa? E quali priorità guidano il progetto? Ne abbiamo parlato con Federico Villa, direttore generale e consigliere d’amministrazione della Fondazione Lilly per l’Italia.
Come nasce questo rilancio della Fondazione Lilly per l’Italia?
La fondazione è nata oltre cinquant’anni fa, proprio con l’obiettivo di supportare la ricerca indipendente. Il rilancio emerge dalla necessità di supportare una riforma del nostro servizio sanitario nazionale pubblico per renderlo ancora più equo, sostenibile e accessibile, ma soprattutto mantenere un accesso universalistico alle cure per le nuove generazioni. Questa esigenza, questa urgenza ci ha spinto oggi a modificare il nostro approccio di supporto alla ricerca.
Quali sono gli obiettivi di questo nuovo progetto e in cosa consiste?
Abbiamo deciso di investire nella ricerca accademica per formare talenti in grado di riscrivere e ridisegnare i processi del nostro servizio sanitario pubblico, per far sì che la sfida della sostenibilità economica venga affrontata non solo attraverso una maggiore allocazione di risorse, ma anche attraverso una migliore allocazione di risorse. Per questo è necessario efficentare i processi, sfruttando anche tutte le nuove tecnologie. Queste, infatti, possono garantire un ulteriore miglioramento della qualità delle cure e un’accelerazione dell’accesso a cure e prestazioni sanitarie.
Può dirci di più?
Partendo da questa priorità, abbiamo lanciato un piano che si chiama “30×30”. La fondazione finanzierà trenta dottorati di ricerca nell’ambito delle politiche sanitarie in trenta università. L’obiettivo è quello di lavorare a un network integrato tra i diversi territori italiani, grazie anche alle università di eccellenza del nostro territorio, per sviluppare una generazione di evidenze nell’ambito dei processi della sanità pubblica che possano supportare i policy maker e i decision maker a prendere decisioni basate sui dati.
Come mai proprio trenta borse?
Abbiamo individuato trenta priorità su cui crediamo che bisogni agire immediatamente per rilanciare il servizio sanitario pubblico. Saranno cinque i macro-temi su cui verteranno i dottorati: digitalizzazione in sanità e trasformazione tecnologica, sostenibilità economica e nuovi modelli finanziari, accessibilità alle cure e modelli organizzativi territoriali, prevenzione e visione one health e, infine, formazione, partnership e internazionalizzazione.
Cosa vi ha portato allo sviluppo di questo progetto? E perché oggi è importante il supporto alla ricerca?
Il progetto è nato con l’idea di andare oltre la specifica urgenza del momento e oltre lo specifico interesse di attore, vogliamo, infatti, guardare a una prospettiva medio-lungo termine. Solo mettendo insieme il valore della sanità pubblica, il contributo all’innovazione del settore privato e la generazione di evidenze da parte della ricerca indipendente e accademica, si possono infatti immaginare rivoluzioni e riforme nell’ambito della salute. Da un lato, le evidenze sono capaci di far sì che le decisioni dei policy maker abbiano un impatto positivo sul sistema salute nel suo complesso. Dall’altro, la ricerca, generando queste evidenze, consente di portare un valore maggiore all’utente finale, ossia il cittadino e il paziente.
Sanità, accademia, e industria. Una visione che ambisce a integrare diversi punti di vista. In questo contesto, quale ruolo ha la collaborazione pubblico-privato in ambito ricerca e salute?
Oggi gli attori del sistema salute sono molteplici e in molti casi si agisce limitando la visione allo specifico interesse di area, al silos o in un determinato periodo temporale. L’idea della fondazione non è solo quella di supportare singoli progetti, ma si vuole diventare un facilitatore di interlocuzione fra pubblico, privato, settore no profit e mondo dell’accademia, creando una piattaforma di confronto capace di portare avanti riforme e politiche efficaci.
E guardando al futuro? Quali sono gli obiettivi della fondazione?
Attorno a questo progetto 30×30 ci saranno una serie di altri progetti, una futura collaborazione con un partner che oggi genera intelligenza artificiale per migliorare l’integrazione dei piani di ricerca di questi atenei, mettere a sistema i dati, le informazioni e soprattutto i risultati della ricerca rendendoli facilmente fruibili ai decisori pubblici affinché possano facilmente attingere a questo tipo di evidenze.