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Senza fondi di coesione le Regioni non respirano. L’analisi di Ventola (Ecr)

Conversazione con l’eurodeputato pugliese di Ecr sul macro tema del bilancio Ue, strategico per il futuro dei territori più svantaggiati, nel giorno in cui il vicepresidente Fitto ne discute a Bari con tutta la commissione Libe. “Il rischio può essere quello della creazione di un fondo unico, se non verrà definito per bene chi fa e cosa”

Sarebbe un grosso problema mettere in discussione i fondi di coesione, soprattutto per le regioni europee più indietro, come quelle nel Mezzogiorno d’Italia. Lo dice a Formiche.net l’eurodeputato pugliese di Ecr/Fdi Francesco Ventola, nel giorno in cui a Bari si riunisce tutta la commissione Libe del Parlamento europeo alla presenza del vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, Raffaele Fitto e del ministro per gli affari europeo Tommaso Foti. Un’occasione per approfondire il tema delle risorse da allocare nei prossimi sette anni, dopo le rassicurazioni di ieri dello stesso Fitto nel Parlamento europeo.

Quale l’importanza della coesione per le Regioni e soprattutto per quelle del sud Europa?

È determinante, perché si tratta di risorse che ci consentono di superare le differenze che esistono con altre Regioni. Mettere in discussione la politica di coesione significa aumentare questi divari che molto spesso sono più legati anche ad aspetti geografici, a infrastrutture e che sono indipendenti dalla volontà dell’uomo. In alcuni territori è chiaro che c’è bisogno di maggiori risorse pubbliche. Mettere in discussione tutto questo rappresenta sicuramente un problema.

Oggi a Bari se ne discute con il vicepresidente della Commissione Raffaele Fitto, con quali obiettivi?

La scelta di Bari è anche strategica perché parliamo di una delle capitali del sud e quindi un’uscita istituzionale con tutti i coordinatori dalla Commissione Regi significa non solo poter raccontare lo stato dell’arte, ma soprattutto l’interlocuzione degli enti locali, al fine di comprendere che cosa dovrà accadere per il settennio 2028-2034. Vi sono diverse discussioni in atto e siccome per arrivare a un provvedimento in Europa non è come farlo in una singola nazione, occorre un confronto molto serrato prima di fare una determinazione. Per cui ci aspetta un anno e mezzo di duro lavoro.

Quali gli elementi di maggiore criticità di questo bilancio?

Il rischio può essere quello della creazione di un fondo unico, se non verrà definito per bene chi fa e cosa. Devo dire che, da come è entrato nel collegio, già si vede nel provvedimento l’imprimatur del nostro conterraneo Fitto perché alcuni paletti precisi sono stati posti. Adesso si apre un confronto, sia in sede parlamentare ma soprattutto in seno al Consiglio d’Europa quindi ci saranno diversi incontri con i Capi di Stato per arrivare all’approvazione definitiva. Da questo punto di vista mi sento di dire che avere un italiano, tra l’altro così formato su questo tema, per noi rappresenta una grande occasione. In Commissione Fitto ha impressionato favorevolmente, perché il suo modo di fare politica è in controtendenza rispetto al modo di fare politica oggi dove in molti puntano più sui social o sulla battuta ad effetto. Per nostra fortuna abbiamo un commissario che, invece, affronta le questioni di merito e quando si lavora così non bisogna temere nessuno, anzi l’apertura al confronto è un grande salto di qualità della politica in generale.

Quale sarà il contributo di Ecr in questa fase di discussione sul bilancio?

Sull’agricoltura siamo fortemente critici, l’80% delle risorse è ben garantito all’interno del fondo ma ci preoccupa quell’ulteriore 20% sul quale stiamo lavorando affinché veramente la politica agricola comune sia organizzata con un fondo specifico. Noi puntiamo a rincorrere l’obiettivo dell’autonomia strategica in ambito alimentare, che reputo fondamentale. Se come popolo non saremo in grado di garantire la produzione di alimenti che ci consentono di sopravvivere e anche di fare reddito, vuol dire che siamo in presenza di strategie molto pericolose e noi dobbiamo guardare soprattutto alle generazioni future. In questo senso l’agricoltura non è fondamentale, ma di più.

Mille giorni del governo di Giorgia Meloni: da Bruxelles i suoi colleghi che percezione hanno?

Siamo diventati un Paese autorevole, un Paese rispettoso degli impegni, un Paese che non le manda a dire e che sta fermo sui propri principi. Questo significa sempre un dialogo aperto ma con determinazione e con fermezza. Qui in Ue soprattutto vedono un governo stabile, perché gli sfottò dei primi mesi era che in occasione di incontri i ministri cambiavano ogni sei mesi. Questa volta no, siamo rispettati da tutti e questa autorevolezza aleggia all’interno dei palazzi di Bruxelles.


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