Il costo del debito italiano oggi è minore di quello francese. Qualcosa di impensabile fino a una manciata di anni fa, quando Roma era come Atene, considerata grande malata d’Europa. Ora il paradigma si è capovolto, per tutta una serie di ragioni. E lo ammettono anche Oltralpe
Il sorpasso era nell’aria da tempo. Più o meno da quando l’Italia ha cominciato a mettere a terra la manovra senza troppe pretese. Finalizzata, nella sostanza, a far tornare i conti e dare una sforbiciata, per quanto possibile, alle tasse. Un gioco che, alla fine, ha pagato. I mercati, che prestano al Tesoro su per giù 400 miliardi all’anno, finanziando un po’ meno della metà della spesa pubblica, continuano a sorridere al Paese. In realtà, sono mesi che il vento soffia in poppa, tra promozioni mai troppo scontate da parte delle agenzie di rating e leggi di Bilancio molto chirurgiche e molto poco sensazionali. Non è certo un caso che, in sequenza, Fitch, Standard&Poor’s e Moody’s abbiano promosso i conti pubblici italiani, con tanto, da parte di quest’ultima, di miglioramento dell’outlook.
Ora però c’è dell’altro. Ovvero un sorpasso che, nei fatti, capovolge un paradigma durato fin qui in Europa: e cioè che Paesi come la Germania e la Francia fossero per tradizione consolidata più affidabili dell’Italia. Non sembra essere più così, non sul versante francese. Succede, infatti, che gli investitori ritengono più rischioso oggi prestare denaro alla Francia che all’Italia. Lo dicono i numeri: venerdì scorso, 4 luglio, i titoli di Stato francesi (Oat) hanno chiuso la settimana al di sopra dei Btp, al 2,66% contro il 2,64 italiano.
È la prima volta che accade dal 2005, e se allora era sembrato un episodio, adesso la tendenza sembra confermarsi e presto potrebbe riguardare anche il rendimento a 10 anni, ovvero il tasso di riferimento per i mercati. Lo spread tra Francia e Italia a 10 anni è ormai inferiore a 20 punti base (per la precisione 17), cosa che non accadeva dal 2007. In buona sostanza, se qualcuno oggi è malato in Europa, non è l’Italia. E pensare che, fino a prima della pandemia, in molti vedevano per lo Stivale un destino simile a quello della Gracia (su qui, peraltro, in questi giorni è nuovamente tornata Angela Merkel, che pilotò la crisi ellenica insieme alla Bce, oltre 15 anni fa, insieme all’allora governatore Jean-Claude Trichet).
Non è tutto. Nelle stesse ore in cui questo articolo veniva scritto, il differenziale tra i rendimenti del titolo decennale italiano e quelli legati ai bund tedeschi, uno degli indicatori più osservati dai mercati per valutare la percezione di rischio sull’Italia, scendeva a 87 punti base rispetto ai 90 punti base della chiusura di venerdì scorso. Si tratta del livello più basso registrato negli ultimi 15 anni, un dato che riflette una fase di maggiore fiducia da parte degli investitori nei confronti del debito sovrano italiano. Anche gli analisti se ne sono accorti.
“Tra il 2018 e il 2022, gli spread dei titoli di Stato italiani sono stati una fonte di ansia per i mercati, alimentata dall’instabilità politica ed economica. La situazione politica ha cambiato le carte in tavola”, ha sottolineato Neil Mehta, portfolio manager di BlueBay. “A livello interno, il primo ministro Meloni ha portato stabilità, mentre a livello internazionale la sua crescente autorevolezza, soprattutto con gli Stati Uniti, ha rafforzato la credibilità dell’Italia”. E se persino in Francia hanno dovuto concedere l’onore delle armi, allora la questione è seria. Un editoriale di Les Echoes, che in Francia gode della stessa autorevolezza del Financial Times, ha certificato la resa. “Lo stravolgimento della gerarchia dei debitori europei prosegue inesorabilmente” ed è “la Francia che ne fa le spese”, afferma il quotidiano economico, parlando di un ritorno in auge del debito italiano sui mercati, sottolineando che “gli investitori sono sedotti dalla politica economica” della presidente del Consiglio.
Attenzione però a non dormire sugli allori. Tanto per cominciare Parigi ci ha messo del suo: la maggioranza di Emmanuel Macron è tanto fragile quanto traballante e lo dimostra un parlamento quasi ingessato. E poi, mai dimenticarlo, l’Italia continua ad avere un debito pubblico molto alto (oltre il 135% del Pil nel 2024) e questo nonostante il medesimo appaia tutto sommato sotto controllo, a differenza di quello della Francia, salito al 114% del Pil nel primo trimestre del 2025. E una spesa pubblica, oltre 1.100 miliardi, ancora troppo alta. La prudenza, insomma, farà ancora la differenza in futuro. Profetiche le parole del viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, che dal Forum in Masseria, domenica ha spiegato di voler “rendere strutturale l’Ires premiale (la misura cara a Confindustria per spronare le imprese a re-investire gli utili, ndr)”. Risorse finanziarie permettendo, appunto.