Un Paese fragile sotto la spinta di piogge estreme e urbanizzazione caotica. Il Rapporto Ispra sul dissesto idrogeologico descrive un’Italia dove le superfici artificiali sono triplicate dal dopoguerra e il rischio per vite, beni culturali e imprese cresce ogni anno
L’Italia è un Paese in cui le caratteristiche morfologiche, geologiche, idrologiche meteo-climatiche e sismiche determinano una vulnerabilità del territorio ai fenomeni naturali, aggravata dai cambiamenti climatici e dalle pressioni antropiche. L’ultimo triennio è stato caratterizzato da elevate temperature, con il 2024 l’anno più caldo, e da diversi eventi meteorologici di eccezionale intensità, in particolare nel 2023, che hanno causato vittime e danni ai centri abitati, alle infrastrutture e alle attività economiche. I cambiamenti climatici in atto, in particolare le piogge intense e concentrate, con conseguente aumento delle frane, delle colate di fango, delle alluvioni, delle piene rapide e improvvise, stanno amplificando il rischio da dissesto idrogeologico.
Complessivamente il 94,5% dei Comuni italiani (7.463) è a rischio per frane, alluvioni, valanghe e erosione costiera. “Sono 1,28 milioni gli abitanti a rischio frane a pericolosità elevata e molto elevata e 6,8 milioni gli abitanti a rischio alluvioni”. Le Regioni più esposte a frane e alluvioni sono Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Campania, Lombardia e Liguria. È quanto emerge dal Rapporto Ispra sul “Dissesto idrogeologico in Italia”, presentato oggi a Roma.
“Il rapporto”, scrive nella presentazione Stefano Laporta, presidente di Ispra, “fornisce il quadro conoscitivo di riferimento su frane, alluvioni, valanghe ed erosione costiera e sugli indicatori di rischio per l’intero territorio nazionale, rappresentando un importante strumento a supporto delle decisioni nell’ambito delle politiche di contrasto al dissesto idrogeologico. Un’approfondita e dettagliata conoscenza dei fenomeni di dissesto, in termini di distribuzione territoriale e di pericolosità, è infatti un’azione fondamentale per programmare adeguate politiche di mitigazione del rischio”.
L’incremento delle aree urbanizzate, verificatosi a partire dal secondo dopoguerra e spesso in assenza di una corretta pianificazione territoriale, ha portato a un significativo aumento di persone e di beni presenti in zone soggette a pericolosità per frane e alluvioni. “Le superfici artificiali sono passate dal 2,7% negli anni ’50 al 7,16% del 2023 e allo stesso tempo l’abbandono delle aree rurali montane e collinari ha determinato un mancato presidio e manutenzione del territorio”. L’Italia, inoltre, si trova nel cosiddetto “hot spot mediterraneo”, un’area particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici che stanno determinando un aumento degli “eventi estremi” come forti precipitazioni e inondazioni.
L’Italia si conferma tra i Paesi europei più esposti a rischio frane: nel 2024 ne sono state censite oltre 636 mila, un dato importante, soprattutto se si considera che “circa il 28% di questi fenomeni è caratterizzato da una dinamica estremamente rapida e da un elevato potenziale distruttivo, con conseguenze spesso drammatiche, inclusa la perdita di vite umane”. Oltre 582 mila famiglie, 742 mila edifici, 75 mila locali d’impresa e 14 mila beni culturali sono esposti a rischio nelle aree a maggiore pericolosità di frane.
La superficie complessiva delle aree a pericolosità da frane e delle aree ad attenzione è pari a quasi 70 mila chilometri quadrati, il 23% del territorio nazionale: il 3,5% (10 mila 600 km2) è a pericolosità molto elevata; il 6% ( 18 mila km2) a pericolosità elevata; un altro 6% a pericolosità media; il 5,1% (15 mila km2 e mezzo) a pericolosità moderata e il 2,4% (poco più di 7 mila km2) è a livello di attenzione. Le Regioni Toscana, Emilia Romagna, Valle d’Aosta, Campania, Sardegna, Piemonte, Abruzzo, Lombardia e la Provincia Autonoma di Trento hanno le maggiori superfici a pericolosità elevata e molto elevata.
Sul fronte delle alluvioni, il rapporto descrive le attività del terzo ciclo di gestione (2022-2027) della Direttiva Alluvioni che porteranno all’aggiornamento, previsto per il 2026, delle mappe di pericolosità e rischio di questo fenomeno. I dati relativi agli ultimi anni presentano “elevate anomalie termiche” ed “eventi idro-meteorologici di eccezionale intensità”, in particolare nel 2023, che hanno causato vittime e danni alle infrastrutture e alle attività economiche, oltre che all’ambiente. Soprattutto in Emilia Romagna con impatti devastanti su tutto il territorio regionale.
“Le abbondanti e persistenti piogge occorse nel 2024, che si sono spesso concentrate su porzioni limitate del territorio nazionale, sono stati la causa di diversi eventi alluvionali, da nord a sud, con effetti amplificati in quelle aree che sono state caratterizzate da fenomeni di siccità e stress idrico, come il versante orientale dell’Etna, in Sicilia, che ha causato allagamenti e l’evacuazione di diverse famiglie”. Così come nelle province di Milano e Lodi, nelle Regioni Piemonte e Valle d’Aosta, E soprattutto, in autunno, ancora in Emilia Romagna.
Le coste italiane subiscono da decenni gli effetti dell’antropizzazione e dello sfruttamento da parte dell’uomo che “hanno mutato profondamente la dinamica morfologica naturale, dando origine ad un’alterazione profonda della costa, specie in termini di erosione”. A questi si stanno aggiungendo gli effetti del cambiamento climatico che continuano ad alterare ulteriormente gli equilibri naturali rendendo il quadro generale ancora più complesso e gravoso da affrontare.
Dei circa 8 mila 300 chilometri di coste nazionali. Il 90% è costituito da costa naturale, ossia libera da strutture marittime; di questa parte, più della metà (4 mila 100 km) è formata da rocce e scogli. Le spiagge hanno una lunghezza complessiva di 3 mila 400 chilometri e una superficie di circa 120 km2, con un’ampiezza media di qualche decina di metri, con le inevitabili conseguenze legate agli eventi meteorologici e alla variazione del flusso dei sedimenti da parte dei corsi d’acqua. Nei comuni costieri vive circa il 30% della popolazione, con una densità doppia rispetto alla media nazionale e il consumo di suolo è più elevato rispetto al resto del territorio. Negli ultimi due decenni circa 2 mila chilometri di spiagge hanno subito cambiamenti significativi a causa dell’erosione, che il rapporto segnale in diminuzione, anche se in non tutte le regioni, grazie ai numerosi e continui sforzi compiuti negli anni per mitigare il dissesto costiero con interventi di ripascimento e opere di protezione.
Intervenendo a nome del Governo, il Viceministro dell’Ambiente Vannia Gava, ha annunciato lo stanziamento di oltre un miliardo e mezzo di euro nel triennio per la messa in sicurezza del territorio e sta negoziando altri 350 milioni con le Regioni, cui si aggiungeranno 250 milioni di fondi per lo sviluppo e la coesione. “La ripartizione dei fondi contro il dissesto idrogeologico deve seguire criteri tecnici, con priorità ai territori più a rischio. Serve una visione condivisa e strumenti operativi efficienti”. Ma “la lotta al dissesto – ha aggiunto – è anche culturale. Serve superare la sindrome Nimby e costruire consenso attorno agli interventi”.