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Gas, sanzioni e competitività. Il rischio tempesta perfetta per l’Europa secondo Arditti

Non possiamo vincere la battaglia geopolitica e perdere quella economica. La competitività industriale europea è un bene strategico al pari della sicurezza energetica. Se non ora, quando? Il commento di Roberto Arditti

A Bruxelles ieri si è fermato il nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia: la Slovacchia ha opposto il proprio veto, pretendendo garanzie sulla propria sicurezza energetica dopo il 2028, anno in cui dovrebbe scattare l’embargo totale sul gas russo. È una fotografia perfetta della difficoltà europea di conciliare principi geopolitici e realtà economica.

Il cuore del dibattito è la proposta del commissario all’Energia, Dan Jørgensen: un piano rigoroso per eliminare del tutto le importazioni di gas russo entro il 2027. Lo schema prevede lo stop ai nuovi contratti dal 1° gennaio 2026, la fine dei contratti a breve termine entro metà 2026 e la chiusura definitiva di ogni intesa residua entro la fine del 2027. Una strategia che va oltre l’embargo e punta alla trasformazione profonda del sistema energetico europeo: obblighi di tracciabilità dei flussi di gas per evitare triangolazioni con Mosca, possibilità per le imprese di invocare la “forza maggiore” per rescindere contratti esistenti, esclusione del gas naturale liquefatto russo dai terminali europei.

Il piano Jørgensen non si limita a questo: chiede agli Stati membri di presentare piani nazionali di diversificazione entro marzo 2026, sviluppare infrastrutture alternative, integrare i mercati, semplificare le regole e rimuovere le barriere interne al mercato unico dell’energia. Il tutto dentro la cornice del “Clean Industrial Deal”, che dovrebbe accompagnare la transizione con almeno 100 gigawatt di nuove rinnovabili installate ogni anno fino al 2030.

Ma tutto questo si scontra con una realtà dura e semplice: i costi dell’energia in Europa sono molto più alti di quelli dei principali concorrenti globali. Nel 2024 il prezzo medio dell’elettricità per uso industriale in Europa si è attestato intorno a 0,19-0,20 euro al kWh, mentre negli Stati Uniti è stato circa 0,075 euro e in Cina circa 0,08 euro. Il gas naturale racconta la stessa storia: tra 48 e 58 euro per MWh in Europa, contro circa 10 euro negli Stati Uniti e circa 36 euro in Cina.

Numeri inequivocabili: un’industria europea che deve sostenere strutturalmente costi energetici doppi o tripli rispetto agli USA e significativamente superiori anche rispetto alla Cina non può reggere la competizione internazionale senza pagare prezzi altissimi in termini di margini compressi, rilocalizzazioni produttive e perdita di investimenti.

Il richiamo che dobbiamo fare è forte e chiaro: l’uscita dal gas russo è giusta e necessaria, ma non possiamo permetterci di farla senza ridurre drasticamente il differenziale di costo energetico rispetto a Usa e Cina. Perderemmo la partita della competitività prima ancora di vincere quella della sicurezza energetica.

L’Europa deve decidere subito se vuole essere protagonista o spettatrice della nuova economia globale: la vera sfida non è solo eliminare il gas russo, ma farlo garantendo energia a prezzi sostenibili, reti integrate, incentivi alla produzione, fiscalità efficiente. Senza un Green Industrial Deal serio e concreto, che tagli davvero i costi per le imprese e renda competitivo il nostro sistema produttivo, rischiamo di costruire una splendida architettura normativa per poi veder svanire le fabbriche, i posti di lavoro e il valore aggiunto europeo.

Non possiamo vincere la battaglia geopolitica e perdere quella economica. La competitività industriale europea è un bene strategico al pari della sicurezza energetica. Se non ora, quando?


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