“Sono emerse tensioni e difficoltà post-allargamento, includendo Paesi di regioni diverse e con posizioni diverse su differenti temi. Insomma, mi sembra che ci sia qualche difficoltà di consolidamento”. Il commento di Matteo Dian, professore associato di Storia e Relazioni internazionali dell’Asia Orientale presso l’Università di Bologna
Il 7 luglio si è chiusa a Rio De Janeiro l’ultima edizione dei Brics, segnata da assenze importanti come quella del presidente cinese Xi Jinping o del presidente russo Vladimir Putin. Ma anche dalle critiche mosse dal presidente statunitense Donald Trump verso la piattaforma, per le sue presunte posizioni “anti-americane”. Che conclusioni si possono trarre da questa kermesse? Formiche.net ha chiesto a Matteo Dian, professore associato di Storia e Relazioni internazionali dell’Asia Orientale presso l’Università di Bologna, di commentare la situazione.
Che impressione ha su quest’edizione del summit dei Brics?
Mi è sembrato un summit un po’ “sottotono” rispetto a quelli precedenti. Pesa la mancanza di Xi Jinping, che ha mandato il premier, e il fatto che la presenza di Putin sia stata solo digitale, per via del mandato di cattura ma non solo. Inoltre sono emerse tensioni e difficoltà post-allargamento, includendo paesi di regioni diverse e con posizioni diverse su diversi temi. Insomma, mi sembra che ci sia qualche difficoltà di consolidamento. A partire proprio da cosa vuol dire essere parte dei Brics: Lula ha parlato di eredità dei paesi non allineati e a parlato molto di “Sud Globale”, mentre probabilmente l’idea russa e cinese (così come di altri attori) è molto più vicina invece a un esplicito allineamento antiamericano.
I conflitti militari che hanno visto (o vedono) coinvolti Russia e Iran hanno influenzato la conferenza?
In parte sì. Il fatto che questi due Paesi siano membri die Brics implica che l’organizzazione debba prendere delle posizioni. Cosa che in parte ha fatto, a dire la verità, perché c’è una condanna abbastanza netta nei confronti di Israele, sia per quanto riguarda Gaza che per l’escalation con l’Iran. E c’è anche una presa di posizione abbastanza netta, anche se un po’ più sottotraccia, sulla questione Russia-Ucraina, con una condanna dell’Ucraina per gli attacchi all’infrastruttura ferroviaria russa, e da un astenersi di condannare Mosca come fautore del conflitto, per ovvie ragioni di appartenenza. Ma di nuovo, c’è un po’ di scricchiolio interno.
Dovuto forse al recente allargamento del gruppo di recente?
Certamente. Ammettendo più membri, aumentano le difficoltà di gestione così come gli interessi contrastanti. Pensiamo al Brasile, che ha maggior prestigio e visibilità dalla membership del gruppo Brics finché sono una piattaforma più contenuta e più maneggiabile; una piattaforma Brics che si allarga in modo significativo avvantaggi altri attori, come ad esempio la Cina, che promuove la propria leadership nel Sud Globale. Tutto questo, ricordiamoci, con un allargamento che comunque ha avuto successo solo in una certa misura.
Che intende?
Che, ad esempio, l’Argentina prima voleva essere parte dei Brics, ma con l’ascesa dei Milei si è poi sfilata; ma anche l’Arabia Saudita che tentenna senza cercare di perfezionare la potenziale adesione. È difficile mettere insieme gli interessi di un gruppo così composito di Paesi grandi e Paesi piccoli provenienti da regioni diverse, e di portare avanti un’agenda che poi arrivi a qualcosa di concreto, e queste difficoltà si riscontrano anche nei processi di allargamento. Ma l’agenda dell’espansione c’è ancora, come dimostra la recente “idea” dei paesi partners come Cuba o Vietnam.
Ma come collante possono intervenire fattori esterni, come le dichiarazioni di Donald Trump sui dazi?
Decisamente. Tutta questa reazione di minacciare ulteriori tariffe contro i paesi che partecipano ai Brics, definendoli semplicemente come anti-americani, porta acqua al mulino di tutti quelli che vogliono creare una coalizione in chiave nettamente anti-americana. Il presentarsi come nemico esterno favorisce soltanto il superamento degli ostacoli interni ai Brics e il rafforzamento della coesione. E, più in generale, la politica delle tariffe e dei dazi è qualcosa che rafforza proposte alternative che però molto spesso non sono particolarmente rivoluzionarie su certi aspetti, come quando predicano il mantenimento del sistema di Bretton Woods. Il futuro è la parte un po’ più inclusiva ma anche più moderata dell’agenda Brics, e provocare instabilità nel commercio facilita l’azione di attori come la Cina che possono presentarsi come fattore di stabilità a livello globale.