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Kyiv è un laboratorio per la difesa comune. Borsari spiega perché

Di Federico Borsari

L’Ucraina, suo malgrado, è divenuta un laboratorio vivente di innovazione militare e industriale. La difesa europea può solo beneficiare di un’integrazione più profonda con quella del Paese. Varie sono le lezioni per l’Europa. Prima tra tutte non vedere Kyiv soltanto come destinataria di aiuti, ma come co-architetto della sicurezza europea. L’analisi di Federico Borsari, non resident fellow presso il Center for european policy analysis

La guerra su larga scala scatenata dalla Russia contro l’Ucraina ha segnato una cesura nella storia della sicurezza europea. Ma accanto alle devastazioni e alle sofferenze, il conflitto ha anche innescato un processo senza precedenti di innovazione tattica, tecnologica e industriale. In particolare, l’evoluzione dell’industria della difesa ucraina e l’adattamento continuo delle sue forze armate sul campo, rappresentano oggi una risorsa unica per rafforzare la preparazione e la resilienza militare dell’Europa. Integrare questa esperienza nel tessuto industriale e militare europeo, piuttosto che lasciarla passare in secondo piano, non va visto soltanto come un atto di solidarietà e sostegno a un Paese democratico invaso e martoriato, ma anche come investimento strategico per la sicurezza stessa del continente europeo e – di conseguenza – dell’Italia.

Il primo elemento che distingue l’industria ucraina della difesa è la sua eccezionale esperienza tecnico-ingegneristica maturata in condizioni di guerra ad alta intensità. A differenza di molte aziende occidentali, spesso vincolate a cicli di sviluppo multi-decennali e a requisiti imposti da simulazioni e previsioni, i produttori ucraini hanno sviluppato, adattato e perfezionato tecnologie direttamente in risposta a esigenze emergenti sul campo di battaglia, spesso in tempi rapidissimi. Questo ha permesso la creazione e l’ammodernamento di sistemi che uniscono semplicità, efficacia e capacità di sopravvivenza in ambienti operativi estremamente dinamici.

Questo bagaglio di conoscenza, fondato su un flusso costante di riscontri forniti dalle unità in prima linea, ha generato una sorta di cultura industriale decentralizzata orientata alla rapidità, alla modularità e alla scalabilità, sovente in contrasto con le ultime vestigia dell’approccio più burocratico e fortemente centralizzato tipico del periodo sovietico. In molti casi, infatti, sono gli stessi comandanti o i veterani a creare nuove aziende – solitamente medie o piccole – integrando così la loro esperienza operativa direttamente nel processo di sviluppo e sfruttando donazioni dalla popolazione. Pur non senza difficoltà, questa sinergia – o addirittura fusione – tra produttore e utente finale (il combattente) facilita lo sviluppo di sistemi focalizzati esclusivamente sulla missione, prima che sul marketing. La crescente centralità del software e della digitalizzazione in molte capacità, così come l’utilizzo di nuove tecniche produttive come le stampanti 3D per la componentistica, hanno generato cicli di sviluppo, produzione e consegna esponenzialmente più rapidi. Al contempo è tornata in auge la produzione su vasta scala, evidenziando le serie carenze strutturali della difesa europea. Tutti questi elementi offrirebbero un’importante iniezione di pragmatismo e agilità all’ecosistema industriale europeo della difesa.

Le condizioni economiche attuali dell’Ucraina, seppur segnate dal conflitto, offrono anche vantaggi concreti per la cooperazione industriale. Il costo del lavoro relativamente più basso rispetto a quello europeo, unito all’esperienza e all’alta domanda interna di armamenti e tecnologie militari, rendono l’Ucraina un partner unico per iniziative di co-produzione. Le joint venture tra aziende europee e ucraine potrebbero quindi rappresentare un’opportunità non solo per sostenere la capacità di difesa di Kyiv, ma anche per testare, adattare e migliorare tecnologie europee in un ambiente operativo reale. La possibilità di accedere a dati tecnici dettagliati sulle performance dei sistemi in un contesto di guerra ad alta intensità rappresenta un ulteriore valore aggiunto anche in chiave di competitività dei propri prodotti sul mercato. Sul piano militare, l’Ucraina (imitata a più riprese dalla Russia) ha dimostrato come anche l’utilizzo intelligente di tecnologie commerciali e dai costi relativamente contenuti, in particolare i droni, possa trasformare radicalmente la condotta delle operazioni. Uno degli aspetti più rivoluzionari è l’impiego sistematico del bassissimo spazio aereo – l’air littoral – nelle operazioni di terra.

In questo contesto, droni commerciali modificati di piccole e medie dimensioni e con varie capacità – dalla ricognizione all’attacco – hanno introdotto per le unità di terra sia un livello di minaccia senza precedenti sia nuove capacità e tattiche, estendendone il raggio di azione e la letalità a decine di chilometri. Tramite i droni e la loro integrazione con sistemi di comando e controllo totalmente digitalizzati, le unità di terra possono ottenere superiorità informativa, coordinare il fuoco in tempo reale e colpire obiettivi a distanze maggiori e con precisione sorprendente. Questo ha avuto un impatto significativo sulla velocità della cosiddetta kill-chain, spesso dando origine a varie kill-chains integrate all’interno di una singola brigata. Ciò si traduce in un ciclo di identificazione, acquisizione e ingaggio del bersaglio che in alcuni casi si misura in pochi minuti, se non in secondi.

Nel dominio navale, i vascelli di superficie senza pilota hanno consentito a un Paese privo di una vera e propria marina di distruggere un terzo della flotta russa del mar Nero, aprendo un nuovo capitolo nella storia della guerra navale. Per le forze europee, che si stanno preparando a un futuro di possibili conflitti ad alta intensità, incorporare queste nuove tattiche rappresenta una necessità. Formazione, dottrina e pianificazione operativa devono tenere conto dell’emergere di questi nuovi concetti, che cambiano la natura stessa della manovra e della supremazia tattica. Un effetto collaterale, ma non meno importante, dell’uso massiccio dei droni è l’aumento della “trasparenza” del campo di battaglia. Ogni movimento, ogni concentrazione di forze, ogni postazione logistica può essere individuata, tracciata e colpita nel giro di pochi minuti. Questo ha reso estremamente pericolosi gli approcci tradizionali alla manovra, al movimento e al dispiegamento. La sopravvivenza richiede ora dispersione, mimetismo avanzato, mobilità estrema e l’uso continuo di contromisure elettroniche, per citare alcuni degli aspetti più importanti.

Anche qui l’esperienza ucraina offre insegnamenti cruciali: le forze europee devono ripensare il modo in cui si muovono e operano sul campo, ma anche la propria struttura organizzativa. Non è più sufficiente investire in piattaforme tradizionali: è necessario dotarsi di dottrine e capacità che riflettano la nuova realtà di un campo di battaglia dove sistemi d’arma complessi interagiscono con soluzioni sacrificabili e dal costo contenuto. Basti pensare che in Ucraina sono decine di migliaia i droni persi ogni mese dalle due fazioni. L’Ucraina, suo malgrado, è divenuta un laboratorio vivente di innovazione militare e industriale. La difesa europea può solo beneficiare di un’integrazione più profonda con quella di Kyiv. Dall’industria forgiata sul campo al rinnovamento dei concetti tattici, passando per una cultura dell’innovazione distribuita e rapida, nonché il ruolo della società nel sostegno alla difesa del Paese, sono varie le lezioni per i Paesi europei. Apprenderle richiede però un cambio di paradigma anche a livello politico: non vedere l’Ucraina soltanto come destinataria di aiuti, ma come co-architetto della sicurezza europea.

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