La trasformazione dell’aiuto in strumento attivo di influenza strategica ha portato a marginalizzare l’intervento umanitario a favore di ricostruzione, procurement e partenariati economici. Un cambio di paradigma che mette in discussione la credibilità stessa della solidarietà multilaterale. L’opinione di Igor Pellicciari
Lo scenario bellico ucraino ha riproposto la centralità degli aiuti tra Stati nel forgiare le relazioni internazionali. Al contempo, si è assistito a uno stravolgimento dei paradigmi che ne hanno regolato le prassi e le narrative affermatesi a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, ovvero da quando gli aiuti sono diventati uno dei principali strumenti di politica estera.
La Conferenza per la Ricostruzione dell’Ucraina, tenutasi a Roma il 10 e 11 luglio 2025, rappresenta una raffigurazione plastica dei limiti di un aiuto ormai plasmato dall’evoluzione del conflitto. Una svolta sistemica poco discussa, che rischia di generare, per i donatori, più problemi politici che opportunità economiche.
Aiuto interventista vs aiuto neutralista
Sin dai primissimi giorni del conflitto, in Ucraina si è delineato un nuovo modello di Aiuto Interventista, utilizzato dai donatori per assumere un ruolo attivo nello scenario bellico, con l’obiettivo esplicito di influenzarne direttamente l’andamento e l’esito. A tal fine si ricorre a una vasta gamma di assistenze su larga scala in diversi settori: strategico-militare, finanziario, energetico, di governance, tecnologico e logistico.
Questo modello segna una netta discontinuità rispetto all’approccio neutralista, promosso dagli stessi donatori in altri contesti di crisi — come la guerra in Bosnia ed Erzegovina — dove l’aiuto si configurava come risposta imparziale, non schierata, focalizzata sul contenimento dell’impatto del conflitto sulle popolazioni civili. Mentre l’aiuto neutralista si fonda su interventi prevalentemente umanitari, l’Aiuto Interventista privilegia l’assistenza militare e finanziaria, relegando quella umanitaria a un ruolo secondario.
L’assistenza militare tra Stati è sempre esistita, ma veniva mantenuta ai margini della comunicazione pubblica, quasi occultata dietro la narrazione ufficiale dell’“aiuto buono”: umanitario, solidale, legato alla cooperazione allo sviluppo. La novità del caso ucraino sta proprio nella legittimazione dell’assistenza militare come forma di aiuto positiva, elevata a priorità assoluta nelle politiche di aiuto statuale.
Il “Pre Post-bellum”
L’aiuto interventista conferma, ancora una volta, che i donatori agiscono in funzione dei propri interessi nazionali. Ma nel caso ucraino emergono tratti unici, come l’uso esplicito delle armi come strumenti di aiuto legittimo da parte dei Paesi occidentali, e la conversione da parte russa di risorse tradizionali di assistenza — cibo, energia — in strumenti operativi di una guerra ibrida.
Altri elementi distintivi sono la rapida attivazione dei donatori bilaterali — più tempestivi e protagonisti rispetto ai canali multilaterali — e l’integrazione strategica tra sanzioni e aiuti, dove la punizione del nemico (Mosca) coincide con il sostegno al destinatario-alleato (Kyiv).
La Conferenza di Roma mette in luce un’altra anomalia: l’apertura con largo anticipo della programmazione post-bellica, avvenuta quando la guerra era ancora nelle sue fasi iniziali.
Già nei primi mesi del conflitto, i donatori occidentali hanno compiuto due scelte inedite: da un lato, l’accelerazione del processo di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, che in altri casi di instabilità bellica sarebbe stata rinviata; dall’altro, l’avvio della programmazione della ricostruzione, a partire dalla Conferenza di Varsavia del maggio 2022, ben prima che fosse definibile una vera “fase post-bellica”.
La corsa alla ricostruzione
Dopo Varsavia si è susseguita una lunga e disordinata serie di conferenze internazionali sulla ricostruzione — Lugano, Londra, Roma (2023), Berlino (2024) — caratterizzate da mancanza di coordinamento, approcci incoerenti e profonde divergenze di visione.
Le distorsioni tecniche riguardano la difficoltà di programmare aiuti e risorse in assenza di una chiara definizione dei bisogni reali, mutevoli in un conflitto ancora in corso e dagli esiti incerti.
Quelle politiche sono invece legate alla competizione tra i donatori occidentali, desiderosi di posizionarsi per gestire la futura fase di ricostruzione.
Come accaduto in Bosnia, Afghanistan o Kosovo, i primi a beneficiare della ricostruzione non sono né i finanziatori, né i destinatari, ma chi ne gestisce i processi. Il risultato più evidente di questa “corsa alla ricostruzione” è stato l’offuscamento dell’aiuto umanitario, sia in termini di risorse economiche che di centralità politica.
La marginalizzazione dell’aiuto umanitario a favore della ricostruzione rappresenta forse il paradosso più lampante — e più trascurato — dell’intero ciclo di conferenze dedicate all’Ucraina.
Conferenza sugli aiuti o Business Forum?
Pur presentandosi ufficialmente come una piattaforma multilaterale dedicata all’aiuto, la Conferenza di Roma ha assunto in realtà i tratti di un Business Forum ad alta intensità geopolitica, dove l’agenda economico-commerciale ha finito per dominare il dibattito.
Lo si è visto nella centralità attribuita agli investimenti privati, nella promozione delle partnership pubblico-private, e nel lancio di fondi equity orientati al mercato. Si è parlato più di mobilitare risorse che di distribuirle, più di attrarre capitali che di rispondere a bisogni, più di governance e procurement che di sicurezza umana.
Questi aspetti, ormai ampiamente percepiti dall’opinione pubblica, svuotano di credibilità le narrazioni tradizionali sull’“aiuto buono”, che pure continuano a essere riproposte nelle sedi ufficiali.
La Conferenza di Roma è così diventata, al tempo stesso, effetto e motore di un processo di de-idealizzazione e delegittimazione dell’aiuto classico, che aveva dominato l’architettura multilaterale a guida occidentale dal 1945 in poi.
Nel momento in cui le politiche di aiuto, un tempo considerate strumento alternativo al conflitto, si integrano pienamente nelle logiche dello scontro militare, la vera sfida non è solo la ricostruzione dell’Ucraina, ma quella della credibilità dell’aiuto internazionale stesso.