Nei prossimi anni il parco circolante del Vecchio continente assisterà a un aumento dei veicoli elettrici, anche grazie all’incremento dell’infrastruttura di ricarica. Eppure, sul versante delle batterie, l’Ue ha le mani ancora legate. Per colpa della Cina
Il paradosso dell’auto elettrica: da una parte l’Europa prova a spingere sulle immatricolazioni, dall’altra è sempre più dipendente dalle batterie prodotte in Cina. E così, il mercato continentale rimane sotto una specie di pressa, schiacciato dalla potenza industriale dei costruttori del Dragone. I quali, va detto, non giocano proprio secondo le regole del buon vicinato. Secondo gli ultimi dati di Pricewaterhouse, dopo il rallentamento rilevato nel 2024, l’adozione di veicoli elettrici a batteria sta riprendendo quota.
L’analisi di PwC stima che entro il 2025 i veicoli elettrici a batteria rappresenteranno il 18-22% del totale delle vendite in Europa e il 3% del parco auto, con forti previsioni di crescita per il prossimo decennio. L’adozione dei veicoli elettrici, sarà però tutt’altro che lineare in Europa: in Norvegia rappresentano il 90% delle nuove immatricolazioni, mentre in Italia superano di poco il 5% in Italia, a fronte di una media paneuropea intorno al 16%. Come si spiega?
Il fatto è che la rete di ricarica pubblica veloce sta crescendo molto più rapidamente rispetto al numero di veicoli elettrici, contribuendo a ridurre l’ansia dei consumatori sull’autonomia. Tanto che, spiega PwC, entro il 2035 si prevede che la domanda di ricarica raggiungerà i 200 TWh, supportata da circa 55 milioni di punti di ricarica installati, di cui oltre 50 milioni privati e a corrente alternata (Ac). La quota di ricarica pubblica, oggi minoritaria rispetto a quella domestica, è destinata a crescere da poco meno del 25% nel 2025 a circa il 38% (tra lenta e rapida) nel 2035. In Italia si prevede che la domanda di ricarica raggiungerà i 23 TWh al 2035, supportata di circa 5 milioni di punti di ricarica, di cui circa 4,4 milioni domestici e 600mila pubblici.
Ma ecco il rovescio della medaglia. Secondo l’Acea, l’Associazione dei costruttori europei, fino al 70% delle celle per batterie utilizzate nell’Ue viene prodotto in Cina. Per costruire un’industria europea autosufficiente che produca accumulatori, è necessario, d’altronde, un investimento annuo stimato di circa 42 miliardi di euro entro il 2030. Sono poi necessari 172 miliardi di euro di investimenti entro il 2030 per soddisfare la domanda, ma colli di bottiglia amministrativi, come le complesse procedure di autorizzazione e di connessione alla rete, ne ostacolano una diffusione più rapida.
Insomma, servono soldi. Se poi la Cina stringesse ancora di più i cordoni della borsa, riducendo l’afflusso di batterie, il danno per l’Europa sarebbe ancora peggio. Scenario tutt’altro che remoto: proprio in questi gironi Pechino ha inserito la tecnologia di preparazione dei materiali catodici per batterie nella lista delle esportazioni soggette a controllo. A essere coinvolte sono le tecnologie litio-ferro-fosfato (LFP) e litio-manganese-ferro-fosfato (LMFP), oltre che quelle basate su materiali di base fosfatici, tutte fondamentali per l’industria della mobilità elettrica e dell’accumulo energetico. Le aziende interessate dovranno ora richiedere un’autorizzazione per esportare tecnologie correlate alla preparazione dei catodi. Di male in peggio.