Bene ha fatto il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ad annunciare subito che dal prossimo anno chi sceglierà di boicottare la prova orale della maturità scolastica sarà bocciato. È un chiarimento doveroso: l’esame di Stato è un atto pubblico, formale, che serve a misurare non solo le conoscenze ma anche la disponibilità a confrontarsi con regole stabilite da altri
C’è qualcosa di profondamente sbagliato nella scelta di alcuni studenti italiani che, all’esame orale della maturità, hanno deciso di fare scena muta. Non per ansia o impreparazione, ma come atto deliberato di protesta contro la scuola e il suo sistema di valutazione.
I casi principali sono noti. A Padova, un ragazzo si è presentato davanti alla commissione solo per dire: «Grazie di tutto, ma io questo colloquio non lo voglio sostenere», abbandonando l’aula. A Belluno una ragazza ha denunciato un sistema troppo competitivo. A Treviso un altro studente ha rifiutato l’orale, mentre a Firenze un giovane proveniente da un percorso steineriano non si è neppure presentato, criticando genericamente la scuola italiana. Quattro episodi che hanno acceso un dibattito nazionale.
Bene ha fatto il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ad annunciare subito che dal prossimo anno chi sceglierà di boicottare l’orale sarà bocciato. È un chiarimento doveroso: l’esame di Stato è un atto pubblico, formale, che serve a misurare non solo le conoscenze ma anche la disponibilità a confrontarsi con regole stabilite da altri.
Ed è proprio questo il punto essenziale: la vita è piena di esami e verifiche in cui siamo chiamati a sottoporci a criteri che non abbiamo scelto. È così nel lavoro, dove i giudizi li esprimono datori di lavoro e clienti; nello sport, dove contano regole e arbitri; nella salute, dove bisogna seguire protocolli e prescrizioni. Pensare che sia giusto sottrarsi a questa logica equivale a coltivare un’illusione: quella di poter vivere sempre e solo secondo le proprie regole.
La protesta della scena muta si rivela quindi per quello che è: una scelta furbetta, diciamolo pure, una scelta da “paraculo”. Questi studenti hanno potuto permettersi di rifiutare l’esame solo perché sapevano che, nonostante tutto, sarebbero stati promossi grazie ai crediti accumulati e ai buoni risultati agli scritti. Nessun vero rischio, nessuna vera sfida. Solo una performance individuale che non cambia nulla e non propone nulla.
Ecco perché è giusto chiudere la porta a questa deriva: non per punire, ma per ripristinare un principio di responsabilità. La maturità si misura anche nella capacità di accettare di mettersi alla prova quando le regole le stabiliscono gli altri. È questo che serve per affrontare davvero la complessità della vita. Che non permette scorciatoie a nessuno, se ne accorgeranno presto anche i “fenomeni” della scena muta, buona per qualche “like” sui social, ma inutile ai fini di maturità personale.