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Mediterraneo conteso, l’Italia tra Mosca e Pechino. Il commento di Mayer

Il rapporto annuale di Med-Or mette in luce come le dinamiche tra Mosca e Pechino si riflettano sul Mediterraneo, dove anche l’Italia è chiamata a un ruolo di primo piano. Il commento di Marco Mayer

È appena uscito il rapporto annuale 2025 della Med-Or Italian Foundation e, come sottolineano nell’introduzione Anna Maria Cossiga ed Enrico Casini, contiene nuove sezioni utili a cogliere nella loro complessità le numerose interdipendenze che legano il Mediterraneo alla dimensione politica globale. Pertanto, l’attento studio del report è vivamente consigliato non solo agli esponenti del mondo politico e imprenditoriale, ma anche a docenti e studenti che vivono quotidianamente nel mondo accademico.

Basta scorrere l’indice dei 28 capitoli per capire che si tratta di un supporto prezioso per le attività didattiche e di ricerca che le università italiane dedicano ai temi della sicurezza nazionale e della politica internazionale. Mi limito in questa sede a citare il capitolo redatto da Stefano Marroni sulla politica estera della nuova amministrazione americana. Marroni scrive che la disponibilità del presidente Donald Trump a dialogare con il leader russo Vladimir Putin è reale e si sostanzia anche nell’ambizione di allontanare la Russia dalla Cina, tema particolarmente controverso.

In Europa negli ambienti più conservatori (sia di destra sia di sinistra) circola da tempo l’idea che la determinazione con cui l’Unione europea e la Nato hanno reagito all’invasione russa in Ucraina sia stata una politica sbagliata, perché in questo modo si sarebbe favorito l’allineamento di Mosca a Pechino. Non si può escludere che questa narrativa sia il frutto delle campagne di influenza e di disinformazione messe in atto dalla Federazione Russa dal 24 febbraio 2022 a oggi. Questa tesi si basa, infatti, su una periodizzazione completamente falsa: la convergenza strategica tra Putin e il presidente Xi Jinping nasce, infatti, molti anni prima. La relazione speciale tra Mosca e Pechino è già pienamente operativa nel 2014, l’anno dell’occupazione militare russa della Crimea. È vero, però, che buona parte della diplomazia europea e americana all’epoca ne ha colpevolmente sottovalutato la portata.

L’ipotesi di una politica capace di incrinare i legami di ferro tra Russia e Cina è, inoltre, al centro di innumerevoli analisi nel mondo accademico e nei think tank di mezzo mondo. La grande maggioranza degli studi ritiene improbabile che sia possibile creare dall’esterno crepe sostanziali nella solida alleanza tra la Russia e la Cina sia per la crescente interdipendenza economica ed energetica sia per l’aumento della cooperazione in ambito militare.

Qualche settimana fa, il New York Times ha tuttavia pubblicato un documento (considerato autentico) attribuito alla divisione controspionaggio dell’FSB che mette in guardia il Cremlino dai molteplici rischi della crescente ingerenza della Cina negli affari interni della Russia. È un segnale interessante, ma di per sé non significa che Putin sia disposto o abbia l’interesse a cambiare strada. Vedremo.

Il capitolo che Marroni ha scritto per la fondazione presieduta da Marco Minniti ci ricorda che l’Italia ha un ruolo particolarmente importante da svolgere nei prossimi mesi proprio su questo fronte. L’influenza russa e cinese è in crescita nella sponda Sud del Mediterraneo e in diversi Paesi africani. Monitorare l’evoluzione delle relazioni sino-russe nei Paesi del mediterraneo allargato è un compito complesso, ma essenziale per la nostra diplomazia e per la nostra intelligence.

Segnalo in proposito un caso particolarmente interessante che appartiene all’universo digitale e delle telecomunicazioni. Sparkle (oggi controllata dal Tesoro e dal fondo spagnolo Asterion tramite Retelit) ha lanciato insieme all’Egitto e all’Oman un nuovo collegamento di cavi sottomarini con la Cina (la rete Genova-Hong Kong). In teoria, un progetto così ambizioso potrebbe consentire all’Italia di accrescere, e non poco, la sua capacità di influenza in Egitto e in Oman, e più in generale nella regione. Ma se ciò non accade la realizzazione della nuova arteria digitale rischia di diventare un nuovo segmento della Digital Silk Road perseguita da oltre dieci anni dal regime di Pechino. Gli interrogativi che circondano la nuova rete sono un ulteriore riprova che l’Italia non può continuare a prendere decisioni politiche caso per caso e che soprattutto non può permettersi di rimanere l’unica nazione del G7 priva di una strategia di sicurezza nazionale.


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