Integrare la presa in carico nutrizionale in ambito oncologico è un’opportunità per migliorare l’efficacia delle terapie e la qualità di vita dei pazienti. Con il dottor Riccardo Caccialanza (Policlinico San Matteo), approfondiamo il ruolo di percorsi nutrizionali strutturati, l’uso mirato di strumenti terapeutici e il modello lombardo di nutrizione clinica
Negli ultimi anni si è affermata una nuova attenzione rispetto al ruolo centrale della nutrizione in ambito clinico. Sono noti da tempo i suoi effetti preventivi nel ridurre il rischio di numerose malattie croniche e oncologiche. La nutrizione, però, non è solo una questione di prevenzione primaria, è centrale anche nella cosiddetta prevenzione terziaria, indispensabile per ridurre complicanze e migliorare l’efficacia delle cure e l’aderenza alle stesse. Abbiamo ripercorso con il dottor Riccardo Caccialanza, direttore SC Dietetica e Nutrizione clinica, Fondazione Irccs Policlinico San Matteo, i risultati raggiunti sul piano scientifico e organizzativo, analizzando le conseguenze economiche di una mancata presa in carico nutrizionale, e spiegando perché questa è decisiva in ambito oncologico. In questo contesto, Regione Lombardia ha avviato un modello innovativo, dal decreto del 2021 – che ha previsto la riorganizzazione della nutrizione clinica sia in ambito ospedaliero che territoriale – allo screening nutrizionale obbligatorio introdotto lo scorso anno e al nuovo Pdta-R approvato a maggio. Un’esperienza che può servire da modello operativo per trasformare le linee guida in pratiche uniformi ed efficaci a beneficio dei pazienti oncologici in tutta Italia.
Negli ultimi anni si è registrata una crescente consapevolezza del ruolo fondamentale della nutrizione nella cura e nel percorso terapeutico. Tuttavia, ci sono ancora alcuni aspetti cruciali che continuano a essere trascurati. A suo avviso, quali sono i risultati più importanti raggiunti e su cosa invece c’è ancora molto da fare?
Negli ultimi anni siamo riusciti a far riconoscere il supporto nutrizionale come parte integrante delle terapie di supporto oncologiche, grazie al lavoro di tavoli nazionali come quello coordinato e avviato dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), oggi comprendente anche l’Associazione tecnico scientifica dell’alimentazione, nutrizione e dietetica dei dietisti italiani, la Società italiana di chirurgia oncologica (Sico), l’Associazione italiana di radioterapia oncologica (Airo), la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), la Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo) e la Società italiana di nutrizione artificiale e metabolismo (Sinpe). Il lavoro è stato coronato a inizio anno con le prime linee guida sul supporto nutrizionale pubblicate dall’Istituto superiore di sanità. Tuttavia, restano da colmare grandi disomogeneità applicative sul territorio nazionale, ed è inoltre necessario sviluppare una maggiore consapevolezza per un pieno riconoscimento del fattore nutrizionale come elemento modificabile e trattabile anche in ambito oncologico. Il paradigma per cui avere un tumore implica per forza una perdita involontaria di peso è stato fortemente combattuto in questi anni.
Dal punto di vista economico, il mancato adeguato coinvolgimento della nutrizione nel percorso terapeutico comporta un impatto significativo per il sistema sanitario. A quanto ammontano, in termini concreti, i costi associati a questa criticità?
La malnutrizione in Italia costa, per difetto, fra i dieci e i dodici miliardi di euro l’anno. Se aggiungiamo i costi legati alla malnutrizione per eccesso come l’obesità, superiamo i venti miliardi. È evidente che investire nella nutrizione clinica, anche solo con interventi a basso costo come counseling e supplementazione precoce, potrebbe generare un risparmio di centinaia di milioni di euro, se non miliardi a livello nazionale, riducendo ricoveri prolungati e complicanze.
Numeri che fanno riflettere…
Assolutamente. Per questo è necessario pensare in una prospettiva di medio-lungo termine. Attraverso la prevenzione primaria, si può prevenire circa un terzo di tutte le neoplasie e patologie cardiovascolari, riducendo quindi il carico sul Ssn. In questo caso, però, parliamo anche di prevenzione “terziaria”, fondamentale per ridurre complicanze, effetti collaterali delle terapie e, in ultimo, agire sulle conseguenze della patologia stessa. In quel 5% del fondo sanitario che viene dedicato alla prevenzione è importante riconoscere il ruolo della prevenzione terziaria, che attraverso le cure di supporto precoci permette di curare il paziente in maniera migliore, più efficace e con meno spese. Gli studi lo dimostrano. Ad esempio, migliorando lo stato nutrizionale e ottimizzando, quindi, il sistema immunitario prima dell’intervento chirurgico, il paziente ha una media di due o tre giorni di degenza ridotta, con anche benefici in termini di riduzione delle complicanze infettive post-operatorie.
In oncologia, in particolare, perché è così importante intervenire sul fronte nutrizionale? Quali sono, nella sua esperienza, i principali rischi clinici legati alla malnutrizione e i benefici legati alla presa in carico nutrizionale del paziente oncologico?
Come anticipavo, il fattore nutrizionale può cambiare l’iter clinico delle persone in cura. Il paziente oncologico malnutrito perde massa muscolare, diventa più fragile, tollera peggio le terapie, rischia più tossicità e complicanze, fino a richiedere sospensioni o riduzioni di dosi e trattamenti che compromettono la possibilità di cura. Al contrario, un intervento nutrizionale precoce consente una migliore aderenza alle terapie, minori complicanze, degenze più brevi, migliori esiti clinici e qualità della vita. Un dato importante è che circa il 30% dei pazienti arriva alla diagnosi oncologica presentando già un rischio nutrizionale, si tratta dunque di un problema epidemico, per cui è necessaria un’azione sistemica a livello nazionale.
Come spiegava prima, purtroppo, come spesso accade nel campo della salute, registriamo grandi difformità su base territoriale. Perché?
In Italia abbiamo venti sistemi sanitari regionali e solo alcune regioni hanno investito davvero in questo ambito. Sono necessarie maggiore sensibilità politica, risorse e una forte spinta organizzativa, le linee guida nazionali rischiano altrimenti di rimanere senza un seguito concreto.
Regione Lombardia è intervenuta con forza sul tema: possiamo dire che si sta costruendo un vero e proprio modello regionale per la nutrizione clinica? In che modo?
Sì, possiamo dire che Regione Lombardia ha avviato un vero e proprio modello regionale. Dopo trent’anni senza una normativa aggiornata, nel 2021 la Regione ha approvato un decreto che ha completamente riorganizzato la nutrizione clinica sia in ambito ospedaliero che territoriale, individuando team nutrizionali multidisciplinari obbligatori per ogni ospedale e creando una rete coordinata sotto la direzione generale Welfare. Questa rete ha l’obiettivo di garantire cure nutrizionali più uniformi, appropriate, innovative – anche dal punto di vista tecnologico – e basate su evidenze scientifiche, razionalizzando le risorse e migliorando la qualità delle prestazioni. Un altro elemento distintivo del modello lombardo è la creazione di una commissione oncologica ibrida, che riunisce medici nutrizionisti, dietisti e oncologi, capace di collegare strettamente la rete di nutrizione clinica con la rete oncologica regionale, favorendo un approccio integrato e centrato sul paziente. In questo modo, la Regione ha gettato le basi per un sistema capillare. Inoltre, con il decreto del 2021, ha previsto la gratuità della supplementazione orale domiciliare per i pazienti oncologici in terapia attiva, un investimento che va incontro a bisogni concreti di moltissime persone fragili.
Nel gennaio 2024 la Lombardia ha avviato lo screening nutrizionale sistematico per i pazienti oncologici e fragili, mentre lo scorso maggio ha integrato il Pdta-R per i pazienti oncologici. Ce li può raccontare, spiegandoci la portata di questi due interventi?
Lo screening nutrizionale sistematico, introdotto nel gennaio 2024, rappresenta un passaggio epocale. Per la prima volta è obbligatorio per tutti i pazienti ricoverati negli ospedali pubblici e privati accreditati della Lombardia. Questo significa che lo stato nutrizionale viene valutato precocemente, registrato in cartella clinica elettronica e, se necessario, attivata subito la presa in carico nutrizionale. Regione Lombardia, nella delibera di maggio, ha anche stabilito sanzioni economiche nei casi in cui la scheda di screening nutrizionale risulti assente o incompleta, con un abbattimento del 20% della remunerazione del Diagnosis related group (Drg) relativo. Un meccanismo che ha spinto le direzioni sanitarie a non ignorare più la nutrizione come parte integrante del percorso di cura. Il Pdta-R allegato alla delibera definisce in modo dettagliato i percorsi nutrizionali specifici per i pazienti oncologici, individuando criteri per la presa in carico, modalità di intervento nutrizionale, ruoli dei professionisti coinvolti e indicatori di monitoraggio.
Può dirci di più su quest’ultimo strumento?
È un documento che risponde finalmente alle linee guida ministeriali del 2017 rimaste a lungo inapplicate, e permette di standardizzare, codificare e personalizzare i trattamenti nutrizionali, riducendo le disuguaglianze territoriali e migliorando la prognosi e la qualità di vita dei pazienti oncologici.
Nel Pdta si parla di interventi personalizzati e supplementi nutrizionali orali. Che ruolo hanno gli alimenti a fini medici speciali?
Gli alimenti a fini medici speciali, e nello specifico, i supplementi nutrizionali orali, sono veri e propri strumenti terapeutici, studiati per categorie di pazienti con bisogni nutrizionali particolari. Consentono di garantire un apporto completo anche quando il paziente non riesce ad alimentarsi normalmente, evitando manovre invasive come sonde o accessi venosi. Sono fondamentali per sostenere i pazienti nel percorso di cura in modo meno traumatico e più efficace. Si tratta inoltre di soluzioni che costano poco rispetto alle alternative, garantendo di fare la differenza sia dal punto di vista clinico ma anche da quello economico.
Quali elementi del modello lombardo possono essere estesi al resto d’Italia? E guardando al futuro?
C’è una domanda crescente di salute e il sistema dovrà adeguarsi a questa domanda, garantendo al contempo la sostenibilità dello stesso. Lo screening nutrizionale obbligatorio, la previsione della gratuità della supplementazione orale per pazienti oncologici in terapia attiva, attraverso l’inclusione dei supplementi nutrizionali orali nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), la creazione di team nutrizionali multidisciplinari e un Pdta regionale sono strumenti replicabili ovunque. Regione Lombardia, ad esempio, ha anche previsto un sistema di hub and spoke, che permette di individuare dei centri di riferimento per la nutrizione oncologica, da un lato, e di raggiungere anche le periferie, dall’altro. Guardando al futuro, occorre investire su digitalizzazione, big data per la ricerca, lo sviluppo di modelli e garantire omogeneità nell’accesso a queste cure, spingendo politiche nazionali che sostengano le regioni nell’implementazione omogenea delle linee guida. Abbiamo una prateria aperta di possibilità e grazie alla tecnologia e alle innovazioni mediche si possono supportare le esigenze crescenti della popolazione.