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Perché l’Italia è diventata il laboratorio della propaganda russa. Parla Sensi

La Russia ha ufficializzato una nuova lista nera di “nemici” dello Stato: tra i nomi inseriti, quelli del Presidente Mattarella e dei ministri Tajani e Crosetto. “Questo fa parte di una sistematica operazione di disinformazione e di costruzione del nemico”, spiega a Formiche.net il deputato dem Sensi, che aggiunge: “Siamo sufficientemente influenti da contare, ma anche sufficientemente permeabili da rappresentare un terreno fertile per certe strategie”. Che fare? “Non basta limitarsi alla solidarietà. Serve una strategia”

La propaganda putiniana colpisce ancora. La Russia ha infatti ufficializzato una nuova lista nera di “nemici” dello Stato: tra i nomi inseriti, spiccano quelli del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del ministro degli Esteri Antonio Tajani e del ministro della Difesa Guido Crosetto. L’iniziativa, lanciata dal ministero degli Esteri russo attraverso una sezione dedicata sul proprio sito, si inserisce in un contesto di crescente aggressività da parte di Mosca nei confronti dell’Occidente. Una strategia che passa anche per la disinformazione e il tentativo di creare spaccature nelle democrazie europee. Formiche.net ne ha parlato con il senatore del Partito democratico Filippo Sensi.

Senatore Sensi, come legge l’inserimento di alte cariche istituzionali italiane nella lista nera russa?

Questo fa parte di una sistematica operazione di disinformazione e di costruzione del nemico. È una dinamica che va di pari passo con l’aggressione militare in Ucraina e con tutte le altre forme di pressione che ben conosciamo. Non è solo guerra ibrida o lavoro di propaganda: è un’escalation vera e propria, che mira a colpire le istituzioni più alte, per tentare un’azione di discredito il più possibile efficace. Le figure istituzionali diventano, in questa visione distorta, delle “magliette” funzionali alla narrativa del Cremlino.

Secondo lei perché proprio l’Italia è stata così colpita?

Perché siamo particolarmente esposti. Come accadeva negli anni Settanta, oggi esiste una linea di faglia che attraversa l’Italia. Ce n’è una, evidente, che va dai Paesi baltici all’Ucraina, ma un’altra – forse più subdola – passa per il nostro Paese. Perché? Perché l’Italia è al tempo stesso forte e fragile. È un attore importante in Europa, con una posizione strategica, ma anche con elementi di vulnerabilità che la rendono un bersaglio appetibile.

Sta dicendo che l’Italia è diventata una sorta di banco di prova per Mosca?

Sì, esattamente. Siamo il laboratorio della propaganda russa. Siamo sufficientemente influenti da contare, ma anche sufficientemente permeabili da rappresentare un terreno fertile per certe strategie. Non siamo la prima linea del confronto, ma siamo la linea subito dietro: quella che può essere aggredita con strumenti meno convenzionali, ma non per questo meno pericolosi.

E l’opinione pubblica? Come reagisce a questo tipo di attacchi?

Quando l’attenzione è alta, questi episodi vengono giustamente smascherati per quello che sono: atti volgari di propaganda. Ma con il calo della mobilitazione verso l’Ucraina e con una certa assuefazione generale al conflitto, anche provocazioni evidenti come queste rischiano di fare breccia. Non sfondano, certo, ma creano quella “patina” che corrode la percezione pubblica. In un momento in cui manca l’aria – e intendo dire attenzione, informazione, consapevolezza – il pericolo diventa più concreto.

L’aggressione russa in Ucraina, secondo lei, sta diventando un rumore di fondo per gli italiani?

Purtroppo sì. È un atteggiamento tipicamente italiano: dopo una prima fase di forte mobilitazione, finiamo per dare tutto per scontato. Ma la sfida della Russia all’Europa è più pericolosa che mai, e proprio ora, nel momento più complicato, dobbiamo alzare il livello di guardia.

Come valuta la risposta politica dell’Italia a questo attacco simbolico?

La reazione è stata tempestiva, penso alla convocazione dell’ambasciatore russo. Ma non basta limitarsi alla solidarietà. Serve una strategia. Serve attenzione su quel profilo, attenzione geopolitica e azioni conseguenti a tutti i livelli. Questo episodio ci ricorda che abbiamo di fronte una minaccia sistemica, che va affrontata con misure adeguate, con contromisure efficaci.

E in chiave europea?

Dobbiamo capire cosa fare insieme, come Unione europea, per diventare una comunità più sicura. Prendiamo, ad esempio, il fondo Safe: bene aderire a quel fondo, ma dobbiamo anche porci la questione della qualità degli interventi. È una sfida che riguarda tutto il continente. Dobbiamo diventare adulti, come europei. E usare bene le risorse che abbiamo. Solo così possiamo rispondere con serietà a una minaccia che, giorno dopo giorno, si fa più sofisticata e più aggressiva.


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