Dietro la simpatia per la Palestina c’è l’avanzata prorompente della causa di Hamas, un’organizzazione estremista islamica dichiaratamente terrorista. Il sogno dello Stato palestinese è oggi più debole, al di là di questo o quel riconoscimento. Non lo vuole Israele, nessun Paese mediorientale (tranne l’Iran) e pochi governi occidentali. L’analisi di Francesco Sisci
In Italia è di moda essere filopalestinese, è giusto, come ci si può opporre al sacro diritto di vivere di tanta povera gente a Gaza? Non è una moda come farsi i tatuaggi o mettersi gli anelli al naso. È una giusta affermazione di un comune sentire. Ma forse non è tutto qui.
Dietro la simpatia per la Palestina c’è l’avanzata prorompente della causa di Hamas, un’organizzazione estremista islamica dichiaratamente terrorista.
Alberto Melloni sintetizza la questione in maniera brillante. Hamas ha ottenuto tutto ciò che voleva:
– ha sterminato impunemente;
– ha sacrificato i civili di Gaza senza vederselo imputato;
– ha combattuto in modo di far violare ogni regola all’esercito israeliano;
– ha coperto Israele di disdoro;
– ha rubato il marchio “Palestina” alla autorità palestinese;
– ha resuscitato l’antisemitismo.
In tale confronto il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha gestito una guerra ibrida, molto di comunicazione e politica, solo con lo strumento militare. Con il senno di poi appare chiaro che Hamas contava proprio su questo. Conoscendo Netanyahu sapeva cosa sarebbe successo e ci ha giocato.
Ciò detto ci sono due morali a questa analisi. La prima è che la comunicazione di Hamas, la sua narrazione politica, è tutta basata sul falso, su una finzione. Hamas ha assassinato e rapito, non ha protetto e anzi ha favorito in ogni modo il massacro dei suoi civili. Hamas è stato ed è il grande colpevole della devastazione in atto a Gaza, e continua a perpetrarla negando e facendo negare l’evidenza.
La richiesta politica di Hamas, di liberare la Palestina dal fiume al mare, è un’altra finzione – cosa dovrebbero fare gli israeliani? Suicidarsi? Meglio, è una provocazione, un drappo rosso da agitare davanti a un toro israeliano che pare rispondere con reazioni pavloviane.
Ma tutta la finzione si regge su una base reale. A quasi due anni dal massacro del 7 ottobre non c’è ancora una risposta politica alternativa di Israele al messaggio di Hamas, se non dei generici e poco convincenti “non è così”. Il governo di Netanyahu non ha ancora chiarito cosa vuole fare di Gaza e dei palestinesi. Il pasticcio dà fiato ad Hamas che sostiene: Israele vuole il genocidio dei palestinesi a Gaza.
Napoleone perse la Russia e tutto il suo impero perché sulla strada per Mosca non volle liberare i servi della gleba, perché dopo avere liberato i popoli d’Europa li soggiogò. Lui aveva vinto all’inizio combinando azione politica e militare. Alla fine, dava solo risposte militari a questioni politiche.
Oggi Netanyahu sta perdendo la guerra ibrida perché dà risposte militari a questioni politiche. Hamas usa questa debolezza per avanzare la causa più crudele della storia dai tempi di Hitler.
Ma non basta dire che gli altri sono crudeli. Ok lo saranno e poi? Che si fa con i palestinesi?
Così Netanyahu deve ripensare il Medio Oriente e anche che fare dei palestinesi che non possono semplicemente scomparire con un colpo di bacchetta magica. Se nessuno vuole la vittoria di Hamas, tanti nella regione vogliono l’umiliazione di Israele.
La zona è in mezzo a un profondo rimescolio di potere, la diplomazia è caricata al turbo e o Israele riesce a fornire una proposta che raccoglie molte adesioni oppure Hamas diventa un jolly per altri scopi.
Detto questo il sogno dello Stato palestinese è oggi più debole, al di là di questo o quel riconoscimento. Non lo vuole Israele, nessun Paese mediorientale (tranne l’Iran) e pochi governi occidentali. Essi non vogliono uno Stato palestinese infestato o controllato da persone che hanno provato di essere spietate oltre ogni limite e non è chiaro al momento come un futuro Stato palestinese si possa liberare dell’ombra di Hamas.
Dopodiché ha ragione il segretario di stato Vaticano Pietro Parolin ad affermare che “occorre trovare una via di giustizia e riconciliazione, non di vendetta”. Il cardinale esprime inoltre preoccupazione per l’aumento delle tensioni in Cisgiordania, dove le violenze dei coloni israeliani contro i palestinesi si sono moltiplicate, aggravando ulteriormente il quadro. Per questo ci vuole l’impegno di Israele a una soluzione politica vera per Gaza.
Quindi non rimane che chi ha calcoli disumani, come qualche ayatollah iraniano, o chi si inorgoglisce con dichiarazioni di principio, sacrosante per autorità religiose, un po’ meno per centri politici. Forse per rimettere i piedi a terra bisogna sapere che, come ricorda Marcello Neri, la Real Politik sfida la teologia.