“Chi ha cambiato il mondo” è un saggio che attraversa mezzo secolo di trasformazioni economiche, politiche e tecnologiche. Dalla crisi del 2008 all’intelligenza artificiale, passando per Keynes, Deng e Bezos: un’occasione per riflettere sul futuro, tra rischi sistemici e nuove opportunità
Nella splendida cornice dell’Oasi di Cufra, il grande albergo bianco che si affaccia nelle acque del mare di Sabaudia, si è svolta la presentazione dell’ultima fatica – Chi ha cambiato il mondo (Rubbettino) – di Paolo Savona, attuale presidente della Consob. Un curriculum infinito: come professore, economista, civil servant dai mille incarichi, compresi quello di ministro in diverse occasioni. A commentarne le gesta, alla presenza del Prefetto di Latina, Vittoria Ciamarella: Luigi Tivelli, presidente di Academy di cultura e politica Giovanni Spadolini, nonché curatore della rassegna “l’Oasi dei libri”, che si protrarrà per diverse settimane (una ventina di titoli in programma); Gianfranco Sciscione, presidente del gruppo GoldTV; Alessio Gallicolas vicedirettore del quotidiano Il Tempo; e il sottoscritto.
L’obiettivo del saggio che chiude “riflessioni” dell’autore “durate oltre mezzo secolo” (nella nota bibliografica finale il relativo elenco) è illustrare “i momenti d’oro dell’economia, della politica e dell’innovazione tecnologica” che si sono succeduti nel corso soprattutto degli ultimi tempi. E che hanno determinato mutamenti paradigmatici. Con lo scopo “di mettere a disposizione dei lettori ‘colti, ma non specializzati’ uno spaccato delle principali conoscenze teoriche e pratiche che hanno rappresentato una tappa nell’ascesa del sapere nelle tre materie considerate”.
Ce n’era bisogno? Ad avviso di chi scrive certamente. Dalla riflessione sul passato, un pizzico d’ottimismo per il futuro: nel momento in cui la congiuntura geopolitica non sembra promettere alcunché di buono. Era stato John Maynard Keynes a sottolineare la necessità di guardare oltre. A chi gli chiedeva se fosse preoccupato per l’avvenire, rispondeva paragonando i progressi realizzati dall’umanità negli ultimi anni ai 4.000 anni di storia precedenti. Per concludere, a quel ritmo, i problemi della “scarsità”, cruccio degli economisti classici, sarebbero presto svaniti.
Quel sentire era intimamente legato al tema dello sviluppo delle forze produttive, che nel saggio di Savona, conserva una sua centralità. Con quell’espressione si deve intendere qualcosa di più rispetto alla semplice crescita economica, che ne è solo una possibile conseguenza. Richiede infatti la compresenza di più fattori: a partire dalla conoscenza, senza la quale ogni ipotesi di ulteriore sviluppo viene meno. Ed ecco allora la funzione determinante dell’intellettuale. Di colui – Guglielmo Marconi, Antonio Meucci e via dicendo – che ha il compito di fornire le chiavi che possono aprire la porta di un mondo migliore.
Ma la semplice conoscenza, se rimane una formula puramente astratta, serve a poco. Per alimentare lo sviluppo delle forze produttive essa ha bisogno di qualcuno, l’imprenditore, che sappia trasformarla nell’innovazione che serve. E ha bisogno anche del politico che ne capisca l’importanza e faccia di tutto per favorirne la diffusione, liberando quegli animal’s spirits che sono in grado di cavalcarla. Qualche esempio? Da Alcide De Gasperi a Ugo La Malfa, per rimanere in Italia. Oppure Jeff Bezos, un bagno nella più assoluta contemporaneità, il creatore di Amazon. Il cui matrimonio veneziano sta facendo tanto discutere.
Rapporto complesso quindi tra questi diversi elementi. Era stato lo stesso Keynes a ricordarlo, quando, in polemica con politici conservatori del suo tempo, aveva fatto presente che molti di loro, seppure in modo inconsapevole, non facevano altro che rimasticare vecchie teorie accademiche che qualcuno aveva elaborato in precedenza. Del resto, il concetto di sviluppo delle forze produttive ha ormai una dimensione universalista, che va oltre la geopolitica del secolo scorso. Savona cita giustamente Deng Xiaoping, il padre della Cina moderna. Celebre il suo intervento: “Uno dei nostri difetti dopo la fondazione della Repubblica popolare è stato quello di non aver prestato sufficiente attenzione allo sviluppo delle forze produttive. Il pauperismo non è socialismo”.
Argomenti che, come si vede, possono contribuire ad illuminare il presente. Il quale, ancora oggi, soffre di una contraddizione vistosa. La mancata analisi della global financial crisis del 2008, alle cui implicazioni non è stata data l’attenzione che merita. Salvo due stimolanti eccezioni di Adam Tooze (Crashed: How a Decade of Financial Crises Changed the World) e di Antoine Mercier (Regards sur la crise: réflexions pour comprendre la crise et en sortir).
In Europa le conseguenze furono evidenti: la crisi greca, l’intervento del Fondo salva Stati in Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro. Il contagio in Italia è la crisi politica che ne è seguita. Con Giorgia Meloni, che è il primo presidente del Consiglio eletto dal popolo, dal lontano 2011. Ma la crisi ha investito soprattutto gli stessi Stati Uniti, segnando una netta frattura tra un prima ed un dopo. In precedenza, dal punto di vista della finanza pubblica, gli equilibri erano stati più che soddisfacenti. Un deficit di bilancio contenuto al di sotto del 3%, un tasso di crescita in linea con quello europeo, un debito pubblico stabile. Dopo il 2008, invece, il deficit di bilancio si stabilizza oltre il 6%, innescando una crescita sistemica del debito pubblico: modalità italiana. Ed all’improvviso gli Stati Uniti si scoprono più fragili di fronte ad un mondo che sembra essere loro sempre più ostile.
Ancora più rilevanti le conseguenze e le differenze nei confronti della Cina e della Russia. In Cina si ha un forte contenimento della sua politica export-led. Si cerca, invece, di rivitalizzare il mercato interno. Il surplus delle partite correnti che aveva raggiunto un valore pari o superiore al 9% del prodotto interno lordo, si riduce ad un più umano 3-4%. La Russia del G8 subisce invece una brusca inversione di tendenza. La crisi ha comportato un forte aumento del rischio legato all’investimento estero. Quei capitali che, negli anni precedenti, ne avevano favorito lo sviluppo economico sono richiamati in patria. La battuta d’arresto che ne deriva spinge Vladimir Putin ad abbandonare definitivamente le illusioni del libero mercato, per riscoprire la cultura imperiale di Santa Madre Russia. Ed ecco allora nell’ordine: l’intervento in Georgia (2008), l’annessione della Crimea (2014), l’invasione dell’Ucraina (2022).
Siamo così alle grandi incertezze del presente. Quel mondo ricordato da Savona sembra ormai al tramonto, mentre sono attive, si pensi solo all’intelligenza artificiale, i possibili motori che porteranno al cambiamento di fase. Ed è a questi che bisogna guardare, senza dimenticare i tempi e le metodiche che, in passato, ne hanno governato la relativa dinamica. Il giro di boa è appena iniziato. Che si tratti di un cambiamento, che desta non poche preoccupazioni, è evidente. Che sia anche uno dei nuovi “momenti d’oro”, analizzati da Savona, che in passato segnarono l’inizio di una nuova fase, è ancora tutto da vedere.