Hiv, tubercolosi e malaria continuano a causare oltre due milioni di morti l’anno, soprattutto nei Paesi più fragili. Secondo un nuovo studio pubblicato su The Lancet, servono 140 miliardi di dollari entro il 2029 per fermare le tre epidemie. Un investimento che potrebbe salvare 23 milioni di vite. Ma non solo. Stefano Vella, professore di Salute globale ricorda: “La salute ha un impatto economico innegabile”
Nonostante i progressi degli ultimi decenni, Hiv tubercolosi e malaria continuano a causare insieme oltre due milioni di morti ogni anno, colpendo in particolare le comunità più povere e vulnerabili. Le tre malattie rappresentano un ostacolo drammatico per lo sviluppo sociale ed economico di molti Paesi, contribuendo a mantenere disuguaglianze profonde e mettendo sotto pressione sistemi sanitari già fragili. A cinque anni dalla scadenza fissata dagli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) per porre fine a queste epidemie entro il 2030 – e in un contesto in cui la salute globale si ritaglia uno spazio sempre più ridotto nelle agende politiche –, la comunità scientifica si interroga su quali interventi siano ancora possibili e quanto serva per realizzarli.
NECESSARI 140 MILIARDI DI DOLLARI
Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, nei Paesi sostenuti dal Global fund saranno necessari investimenti pari a 140,6 miliardi di dollari tra il 2027 e il 2029 per implementare i programmi in grado di avvicinare il mondo al traguardo dell’azzeramento delle morti e dei contagi da Hiv, tubercolosi e malaria. Di questa somma, circa il 79% potrebbe essere coperto da risorse già oggi ipotizzabili, grazie a finanziamenti nazionali (69,7 miliardi), contributi di donatori esterni (23,6 miliardi) e il supporto del Global fund con la sua ottava raccolta fondi (18 miliardi). Ma resta un divario di circa 30 miliardi di dollari da colmare.
SIGNIFICATIVI RITORNI ECONOMICI
Com’è ormai assodato – specialmente in ambito salute – ragionare in un’ottica di soli costi rischia di compromettere una visione di insieme. Lo studio stima infatti che un utilizzo ottimale delle risorse disponibili potrebbe salvare 23 milioni di vite e prevenire 400 milioni di nuovi casi tra il 2027 e il 2029. “L’impatto economico della salute è innegabile. Non solo per i costi a carico dei sistemi sanitari, ma anche perché un Paese che ha troppe persone non in salute non cresce. Abbiamo ancora un enorme numero di infezioni e di morti, soprattutto in Africa. Ma ogni vita salvata conta”, lo dice a chiare lettere Stefano Vella, professore di Salute globale presso l’Università Cattolica di Roma, sentito da Healthcare Policy per Formiche.net. I numeri presentati nello studio lo dimostrano. Ogni dollaro investito genererebbe fino a 19 dollari di valore in termini di salute e 3,5 dollari di benefici economici diretti, grazie alla maggiore produttività e ai minori costi sanitari. Si calcola infatti che la riduzione della pressione sulle strutture sanitarie permetterebbe di evitare 189 milioni di giorni di degenza ospedaliera e 572 milioni di visite ambulatoriali, con un risparmio complessivo di 1,1 miliardi di dollari in tre anni.
PREOCCUPAZIONE PER I TAGLI
Vella si dice “preoccupato per i tagli ai finanziamenti” alla salute globale. “Sono state fatte delle proiezioni che dimostrano l’impatto sia in termini di nuove infezioni che di morti”, aggiunge il professore. Nell’ultimo ciclo di finanziamento “Gavi (l’alleanza per i vaccini, per cui il governo italiano ha stanziato 250 milioni la scorsa settimana, ndr) è riuscito a recuperare abbastanza fondi”, spiega, ma l’invito è a ricordare “lo sforzo fatto nel 2000, quando sono state fatte grandi battaglie per portare farmaci e vaccini in questi Paesi”, auspicando altresì un supporto continuato “al Global fund che si occupa proprio di tubercolosi, malaria e Hiv”. Il professore di Salute globale sottolinea anche il ruolo che potrebbe ricoprire il nostro Paese, invitando a far si che “il Piano Mattei si occupi molto di salute. L’Italia in passato è stata pioniera in questo”. “È importante ricordare che certe categorie di farmaci, come quelli per l’Hiv, oltre a prevenire ulteriori infezioni, sono fondamentali per tenere in vita le persone. Toglierli è come togliere l’insulina a un diabetico”, conclude.