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Trump fa il mediatore tra Thailandia e Cambogia. Senza pace nessun accordo commerciale

Trump media tra Cambogia e Thailandia per un cessate il fuoco, legando il dialogo alla sospensione di accordi commerciali. L’iniziativa riflette anche la sua ambizione di muoversi come pacificatore in cerca del Nobel

I leader di Cambogia e Thailandia hanno concordato di incontrarsi per i colloqui di cessate il fuoco dopo giorni di violenza transfrontaliera, secondo le dichiarazioni di sabato di entrambe le parti e del presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Trump ha aveva anticipato l’avvio dei negoziati annunciando di aver parlato sia con il primo ministro cambogiano, Hun Manet, e di aver cercato l’omologo (ad interim) thailandese, Phumtham Wechayachai, nei suoi sforzi per ripristinare la pace. Ha anche detto che non vedeva l’ora di concludere accordi commerciali con entrambe le nazioni, “una volta che la pace sarà a portata di mano”.

Il presidente americano è al lavoro diplomatico dal campo da golf di sua proprietà a Turnberry, nell’Ayrshire, in Scozia — dove ha giocato a golf con suo figlio Eric e l’ambasciatore statunitense nel Regno Unito, prima degli incontri ufficiali con Ursula von der Leyen e Keir Starmer.

Secondo Trump, è una coincidenza che gli Stati Uniti stiano negoziando accordi commerciali con entrambi i Paesi proprio in questo momento. Ma ha voluto essere chiaro: “Non voglio fare alcun accordo con nessuno dei due Paesi, se stanno combattendo, e gliel’ho detto chiaramente!”.

“Sto cercando di semplificare una situazione complessa! Molte persone stanno morendo in questa guerra, ma mi ricorda molto il conflitto tra Pakistan e India, che è stato portato a una conclusione positiva”, ha detto Trump — rivendicando un successo nello scontro indo-pakistano che New Delhi ha smentito, sebbene indirettamente e con garbo diplomatico.

Gli sforzi di Trump per mediare un cessate il fuoco tra Cambogia e Thailandia si inseriscono nel suo approccio transazionale alla diplomazia, che combina pressioni economiche e negoziati diretti, come già visto nei successi parziali come appunto quello India-Pakistan, Ruanda-Congo, Russia-Ucraina e Israele-Iran.

Questi risultati, seppur fragili e spesso contestati, alimentano la dinamica con cui cerca di essere nominato al Premio Nobel per la Pace, un riconoscimento che Trump vede come una consacrazione del suo ruolo di “pacificatore” storico e globale.

La complessità di questi conflitti, unita alla natura controversa delle sue azioni politiche, alla spinta sulla dimensione narrativa delle sue attività diplomatiche, e alla percezione di un’agenda più legata all’interesse personale che a una strategia coerente, rende difficile per il comitato di Oslo accogliere le sue candidature, sostenute da figure come Benjamin Netanyahu e il governo pakistano. La sfida in corso riguarda la sua eredità come statista.


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