Le priorità dell’America di Donald Trump e i cambiamenti negli equilibri strategici globali rendono sempre meno improbabile un ridimensionamento della presenza statunitense in Europa. Le capitali europee, però, sembrano impreparate a questa eventualità, nonostante il momento attuale sia forse il più favorevole per rilanciare le ambizioni del continente e ribilanciare i rapporti interni alla Nato
C’è un timore che si aggira per le cancellerie d’Europa: che succederebbe se gli Stati Uniti decidessero di ritirare le loro truppe dal continente? L’idea che gli Usa possano ridurre drasticamente la loro presenza militare in Europa non è nuova — le prime suggestioni a tal riguardo risalgono addirittura all’amministrazione Obama —, ma il ritorno in grande stile di Donald Trump alla Casa Bianca ha riaperto un capitolo che, soprattutto dopo l’inizio della guerra d’Ucraina, gli Stati europei consideravano improbabile. Adesso, come fa notare Foreign Affairs, le cose potrebbero cambiare, e anche rapidamente. E forse non sarebbe un male, né per gli Usa né per l’Europa. Forse.
Perché gli Usa potrebbero ritirarsi dall’Europa?
Gli equilibri strategici mondiali non sono più gli stessi di vent’anni fa. Già nel corso del primo mandato di Barack Obama, gli Stati Uniti avevano capito che il centro di gravità strategico del globo — che fino ad allora era stato il continente europeo — stava andando posizionandosi nel Pacifico, e in particolare all’intersezione tra quest’ultimo e l’Oceano Indiano. Di qui la progressiva comparsa del termine “Indo-Pacifico” nei documenti strategici, prima degli Usa e poi del resto del mondo. Gli Stati Uniti sono ben coscienti del fatto che, a oggi, la Cina costituisce l’unico attore capace di ambire credibilmente a contestare il loro predominio sul piano militare. Contrariamente alla Russia, la quale — pur possedendo il più grande arsenale nucleare al mondo — non rappresenta più, sul piano convenzionale, un avversario Peer (vale a dire, con le stesse capacità degli Usa). L’Ucraina ne è la prova più lampante. Inoltre, la mancata escalation del conflitto ucraino al resto dell’Europa (ancora possibile, ma sempre meno probabile dopo quasi quattro anni di guerra), contribuisce ulteriormente a rendere lo scenario europeo sempre più secondario nei calcoli strategici di Washington.
Eppure, l’Europa rimane il teatro operativo con la maggiore concentrazione di truppe a stelle e strisce all’infuori del mainland americano. L’Asia, non a caso, è al secondo posto. La presenza complessiva di truppe statunitensi schierate sul continente in vari contingenti (di cui diversi in Italia) ammonta complessivamente a circa 100mila unità, oltre a un numero imprecisato (ma alto) di mezzi ed equipaggiamenti. Se gli Usa decidessero di ridurre il loro impegno in Europa, queste forze potrebbero essere reindirizzate verso il contenimento della Cina. Questi discorsi assumono sempre maggiore rilevanza nel dibattito strategico americano, soprattutto in riferimento alla crescente assertività di Pechino nel Mar Cinese Meridionale, vale a dire intorno a Taiwan, ritenuta — non senza ragione — il più importante flashpoint di questa prima metà del secolo. Posto che la Cina dovesse tentare di conquistare “l’altra Cina” manu militari e posto che gli Stati Uniti decidessero di intervenire in soccorso di Taipei, le circa 80mila unità attualmente dislocate in un teatro operativo ampio come quello indo-pacifico sarebbero insufficienti a garantire un rapporto di forze quantomeno di 1 a 1, ricordando che la dottrina difensiva statunitense tende a “preferire” un rapporto di 6 a 1.
Perché adesso?
Come sottolinea Foreign Affairs, questo potrebbe essere il periodo “migliore” per gli Stati Uniti per iniziare a lavorare a un disimpegno convenzionale dall’Europa. Le capitali europee hanno iniziato — seppur in modo molto europeo — a prendere seriamente la difesa e si stanno preparando a una maggiore assunzione di responsabilità per quanto concerne la sicurezza del continente, esattamente come auspicato dagli Stati Uniti. Tuttavia, se questo disimpegno dovesse concretizzarsi tra cinque o dieci anni, è possibile che nel frattempo l’Europa — “forte” della consapevolezza della presenza americana — veda al ribasso le sue rinnovate ambizioni difensive, annullando quanto raggiunto finora.
Parimenti, un simile momento potrebbe non ripresentarsi per gli Alleati europei degli Usa. Con gli Stati Uniti ancora all’interno del perimetro Nato (la cui permanenza nell’organizzazione è stata blindata da uno degli ultimi colpi di coda dell’amministrazione Biden) e con una Russia che necessiterà di alcuni anni per ricostruire le proprie capacità convenzionali, il momento per l’Europa per fare un salto di qualità è adesso. Non solo per aumentare il proprio peso in seno all’Alleanza Atlantica e potenziare le proprie capacità, ma anche per affrontare il tema del riarmo, delle sue cause e delle sue implicazioni con le proprie opinioni pubbliche.
L’Europa è pronta a fare a meno della presenza americana?
A oggi, non risulta che le cancellerie europee abbiano predisposto un piano in caso di ritiro unilaterale delle truppe statunitensi dal continente. Complici anche il tipico lassismo europeo e le ben note divergenze in tema di politica militare, le capitali del Vecchio Continente continuano a muoversi alla giornata, senza (apparentemente) voler neanche prendere in considerazione la possibilità di un ritiro di Washington. Secondo diversi Paesi, quand’anche gli Stati Uniti decidessero di ritirarsi, tempi e modalità verrebbero concordati preventivamente, di modo da rendere la transizione il meno traumatica possibile.
Eppure, il passato recente ha già dimostrato che Washington, a differenza dell’Europa, quando prende una decisione tende poi a metterla in atto rapidamente. Alle volte senza neanche avvisare preventivamente gli Alleati. Fu il caso del controverso ritiro dall’Afghanistan nell’estate del 2021, quando la rapidità della smobilitazione dei contingenti Usa lasciò nel panico gli europei, i quali dovettero correre ai ripari organizzando (alcuni meglio, come l’Italia, altri peggio, come la Germania) quasi senza preavviso l’evacuazione dei propri militari, nonché dei collaboratori afghani. L’immagine di uno dei C-130 dell’Aeronautica militare che lascia l’aeroporto di Kabul sotto il fuoco delle armi leggere dei Talebani restituisce chiaramente il tipo di caos che un ritiro non preventivato può scatenare. Se una dinamica simile dovesse ripetersi, stavolta in scala enormemente maggiore, è difficile dire quale effetto questo potrebbe avere sull’Europa, non solo in termini militari, ma anche politici. Ma forse, per l’Europa che rischia di riadagiarsi sugli allori di una indefinita presenza convenzionale americana, un po’ di caos è proprio quello che serve per svegliare le coscienze. Forse.