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Washington chiede il time out tra Serbia e Kosovo. L’ombra russa e il futuro balcanico

Ancora caos nel costone balcanico, tra sentenze contestate, mire di super player esterni come la Russia (che tiene forte la relazione con Belgrado) e una destabilizzazione data anche dal mancato funzionamento del Parlamento kosovaro. Fronti di crisi che, al momento, nessuno riesce a risolvere ma che è di fatto una mina piazzata al centro dei Balcani che potrebbe detonare con effetti negativi.

Washington chiede il time out tra Serbia e Kosovo, in un momento caratterizzato da nuove tensioni sull’asse Pristina-Belgrado. “Lo stallo politico mette a rischio l’integrità delle istituzioni”, è la posizione espressa da un portavoce dell’ambasciata degli Stati Uniti in Kosovo, che va letta in filigrana rispetto a due elementi: la chiusura espressa dal ministro serbo Ivica Dacic sulla ripresa del dialogo tra Belgrado e Pristina (“finché continua la persecuzione dei serbi in Kosovo”) e il nuovo incontro tra il direttore dell’Ufficio del governo serbo per il Kosovo Petar Petkovic e l’ambasciatore russo in Serbia, Aleksandar Bocan-Harchenko.

Stop al dialogo

Stop al dialogo: lo chiede il ministro degli Interni serbo Ivica Dacic dopo l’arresto di Igor Popovic, assistente del direttore dell’Ufficio del Governo serbo per il Kosovo e Metohija, per cui la procura superiore di Belgrado ha chiesto l’identità di chi gli ha apposto le manette. “Teniano un registro dettagliato di tutto questo, e prima o poi saranno perseguiti dalle nostre autorità”, ha detto il ministro serbo, ricordando che giorni fa la polizia ha recentemente ucciso una persona coinvolta in crimini contro il popolo serbo: “Questo dimostra chiaramente l’intenzione del regime di Pristina di ripulire il territorio del Kosovo e Metohija dalla presenza serba”. Rivolge poi un duro attacco alla comunità internazionale rea, secondo Dacic, di permettere “che tutto il mondo dipendesse dalla buona volontà del premier Albin Kurti, cioè dal fatto che egli rispetti o meno gli accordi già raggiunti, ora vogliono convincerci che non possono convincere Kurti… Ma noi non siamo ingenui, non siamo stupidi. Se vogliamo essere onesti, questo è un inganno, perché non è ciò che ci è stato detto quando abbiamo firmato l’accordo di Bruxelles”.

Gli effetti del caso Popovic

Popovic è stato ucciso lo scorso 18 luglio al valico amministrativo di Brnjak, dopo un discorso tenuto durante una commemorazione per le vittime del comune di Orahovac: secondo il tribunale di Pristina avrebbe, durante il suo intervento, incitato all’odio e all’intolleranza per questa ragione era stato colpito da una ordinanza di custodia cautelare. Fatti che si sommano alla paralisi parlamentare post elezioni politiche: in questo senso si inserisce il richiamo americano contro uno stallo politico che “mette a rischio l’integrità delle istituzioni”, dettata dalla mancata costituzione del Parlamento del Kosovo. Così un portavoce dell’ambasciata degli Stati Uniti in Kosovo al quotidiano che invita i leader politici “a prendere sul serio le loro responsabilità e a collaborare per raggiungere un accordo sulla costituzione dell’Assemblea, che include l’elezione di un presidente e di due vicepresidenti”.

Ma il richiamo Usa va osservato anche in riferimento alle mire dei super players nel costone balcanico, come la Russia. Il direttore dell’Ufficio del governo serbo per il Kosovo Petar Petkovic, infatti, ha incontrato a Belgrado l’ambasciatore russo in Serbia, Aleksandar Bocan-Harchenko, a cui ha manifestato la sua preoccupazione per l’arresto del vicedirettore dello stesso Ufficio Igor Popovic e “per le sentenze politiche e illegali” del tribunale di Pristina. L’accusa rivolta al Kosovo è di moltiplicare “le pressioni accrescendo le tensioni e causando crisi sul campo, e le sue azioni, tra cui l’arresto del mio assistente Igor Popovic”, fatto che “vanificano direttamente gli sforzi e soffocano il dialogo”. Intromissioni, scarsa trasparenza e rischio di altre tensioni.

Tribunali e geopolitica

Si stanno quindi intrecciando le vicende giudiziarie a quelle della geopolitica, dal momento che l’Ufficio del governo serbo per il Kosovo ha dichiarato che il Tribunale di Pristina ha condannato tre cittadini serbi “senza testimonianze attendibili, in un processo politico inscenato dal primo ministro Albin Kurti”. I due serbi sono Milun Milenkovic e Aleksandar Vlajic, condannati a cinque anni di carcere per terrorismo dopo un attacco armato rivolto nel dicembre 2022 contro l’ufficio della Commissione elettorale municipale nella parte settentrionale del Kosovo. Elementi che sono direttamente connessi anche ad altri fattori che arricchiscono il fronte di tensioni regionali. Come il caso legato alla libertà di stampa, che secondo l’Ue dovrebbe essere garantita da un maggiore attivismo delle autorità locali.

Per questa ragione Bruxelles “si aspetta che le autorità competenti della Serbia rispondono rapidamente alle minacce rivolte alla redazione dell’emittente N1 e che le autorità di Belgrado creano un ambiente incoraggiante in cui la libertà di stampa e la libertà di espressione possono essere realizzate senza interferenze”. La Commissione europea risponde così alla lettera inviata dall’emittente serba lo scorso 11 luglio in cui si denunciava “l’escalation di minacce e la campagna intimidatoria condotta dal governo serbo contro i giornalisti e la redazione di N1”.

Il programma per i paesi candidati

Il sostegno ai Paesi candidati all’adesione Ue è una priorità del governo italiano ed oggi si è svolto il primo incontro che ha dato ufficializzare l’avvio al programma di cooperazione amministrativa promosso dalla Camera dei deputati nell’ambito dell’Iniziativa Centro-europea (InCE), alla presenza della vicesegretaria generale, Claudia Di Andrea. Denominato KEP (Know-how Exchange Program) il progetto punta a supportare i Parlamenti dei 7 Paesi membri dell’InCE che sono candidati ad aderire all’Unione europea ovvero Albania, Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia e Ucraina e vedranno una serie di iniziative come workshop online tematici per i Parlamenti dei Paesi candidati.


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