Nel suo discorso dell’11 luglio, il presidente dell’Abi Antonio Patuelli ha rilanciato un’etica economica ispirata a Max Weber, incentrata su concorrenza, responsabilità e libertà. Un messaggio contro statalismi e dazi, in nome di un capitalismo più cosciente e democratico
Pochi si sono accorti del taglio weberiano della relazione del presidente dell’Abi Antonio Patuelli dell’11 luglio a Milano. Una relazione che sulla scia delle riflessioni di Max Weber (autore del fondamentale saggio “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”), ha rilanciato sia l’importanza dell’ “etica della libertà” (e delle libertà), ma anche quella di una sana e troppo spesso dimenticata “etica della responsabilità”. Una visione che si è tradotta nella valorizzazione di pilastri della libertà economica a cominciare dalla “concorrenza”. Patuelli ha, infatti, sottolineato la necessità di disinnescare i rischi di protezionismi e nuovi dazi, che penalizzano il libero mercato, la crescita economica e sociale e la prosperità globale. Secondo il presidente dell’Abi occorre anche più dinamismo, semplificazione, pur non abolendo le norme europee e italiane.
Non a caso “concorrenza”, “libertà” e “semplificazione” sono stati identificati da Patuelli proprio come dei valori e fattori fondamentali per fare progredire l’Italia e l’Europa stessa. Un passo avanti rispetto ai rischi dei “dazi umorali” e alle derive corporative e oligarchiche del nostro sistema economico (e in parte bancario). Allo stesso tempo il monito di Patuelli guarda con lungimiranza ai nodi del futuro di fronte alle sfide del digitale, dell’intelligenza artificiale, delle offensive dei nuovi nazionalismi e statalismi. Serve – ha sottolineato Patuelli – un approccio responsabile e orientato allo spirito critico (sulla scia degli appelli di Papa Leone XIV) sulla tutela del dati, della persona, del mandato morale e etico dell’attività bancaria italiana.
Un mandato etico che riprende i principi della Costituzione della Repubblica, oltre a quelli dettati da un grande presidente della Repubblica, intellettuale e banchiere come Luigi Einaudi.
Patuelli, con questa relazione ha quindi fatto proprio il mandato morale della migliore tradizione dei banchieri italiani, a partire dal culto della libertà di Einaudi, ma soprattutto di quello Stefano Siglienti che insieme rifondò l’Abi circa ottant’anni fa negli anni della Ricostruzione. Un richiamo culturale a quei “Banchieri di libertà” che non è solo storico e culturale, ma che si presenta come la rivendicazioni di una eredità morale, di un’idea di mercato ben regolato, che deve operare in piena democrazia economica, in osservanza ai principi costituzionali. Ma anche in linea con una cultura della libertà, della concorrenza, dell’individuo che possa rilanciare il progresso morale ed economico del Paese.
Recuperando, in questo senso, il portato principale di quella tradizione che va da Mattioli a Siglienti ed Einaudi che in questi giorni di Risiko bancario e della assertività di figure più spregiudicate e di banchieri un po’ all’italiana ci ricorda lo spirito principale dell’Abi di Patuelli: coniugare responsabilità e libertà. In nome di una “intransigenza morale” che non è solo rispetto delle regole, ma fedeltà ad una coscienza ed una cultura che affonda nei padri del primo e del secondo Risorgimento e che è profondamente attuale. Da Einaudi ai nuovi statalismi il passo sembra, infatti, un po’ azzardato…