L’accordo quadro raggiunto da Bruxelles e Washington apre nuovi scenari per la cooperazione commerciale e militare tra Ue e Usa. Se da un lato l’Europa deve colmare lacune operative affidandosi a sistemi statunitensi, dall’altro rischia di rallentare lo sviluppo della propria industria e di compromettere il raggiungimento della sua autonomia strategica. Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), ne parla con Formiche.net
L’Unione europea e gli Stati Uniti hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che fornisce i primi dettagli sull’accordo raggiunto il 27 luglio da Ursula von der Leyen e Donald Trump. Dall’automotive ai chip, l’accordo-quadro definisce il futuro dei rapporti commerciali tra le due sponde dell’Atlantico e comprende anche una clausola dedicata al settore Difesa, dove l’Ue si impegna ad aumentare i suoi ordini di sistemi ed equipaggiamenti militari dagli Usa. Per comprendere meglio la portata di questo accordo, le sue implicazioni per il rapporto Usa-Ue e i suoi possibili effetti sull’industria europea, Airpress ha conversato con Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai).
Professore, partiamo dal documento diffuso nella giornata di ieri. Cosa possiamo dire rispetto alla dichiarazione congiunta?
Mi sembra, di fatto, più una dichiarazione di buone intenzioni per soddisfare il super-ego del presidente americano che un accordo specifico. Il documento, infatti, è estremamente generico. Al punto 7 (su 19 totali) si dice, infatti, che “l’Ue prevede di aumentare sostanzialmente l’acquisto di equipaggiamenti militari e di difesa dagli Stati Uniti”. Tuttavia, non si fa riferimento ad alcun numero assoluto o percentuale e, quindi, resta una un impegno solo “politico”, oltre tutto preso da un’istituzione — la Commissione — che non ha competenza in materia e che, sulla base dei Trattati, non può acquistarne direttamente.
In che senso?
Ad esempio, il sistema europeo di controllo sulle esportazioni militari, basato sulla Posizione comune adottata dal Consiglio europeo nel 2008 (a prescindere dai limiti intrinseci e dall’applicazione, resi ancora più evidenti dal conflitto in corso in Ucraina), non consentirebbe all’Ue di gestire equipaggiamenti militari. Tanto è vero che nel campo spaziale, ad esempio, si è dovuta scindere la gestione del Prs (il servizio pubblico regolamentato) del sistema di navigazione satellitare Galileo, lasciata in mano agli Stati membri dalla relativa proprietà e gestione comunitaria. Lo stesso sostegno militare all’Ucraina è dovuto passare attraverso la gestione finanziaria della European peace facility (Epf), sotto il controllo dell’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune che, come è noto, opera a livello inter-governativo — pur essendo di diritto anche vice presidente della Commissione.
Dunque, posto che si trovi un modo di superare (o aggirare) questo ostacolo burocratico, cosa succederà adesso?
Nella dichiarazione non vi è nessun riferimento alla data di partenza di questo impegno. Se si considera il 21 agosto di quest’anno gli ordini già dati alle imprese americane da parte degli Stati membri comporteranno un sostanziale incremento degli acquisti. Bisognerà poi aggiungervi i futuri ordini già programmati e resi possibili dalla sospensione del rispetto dei criteri del Patto di Stabilità per questo triennio e dagli stessi finanziamenti europei, in particolare con il programma Safe (anche se, in questo caso, la parte extra-comunitaria degli equipaggiamenti acquistati non potrà superare un terzo del costo complessivo).
L’Europa ha effettivamente bisogno di questi sistemi?
Sì, almeno di alcuni. Data l’urgenza di rafforzare le capacità di difesa europee e data l’insufficiente capacità industriale del Vecchio continente, sarà inevitabile ricorrere a fornitori americani, per lo meno per alcuni sistemi come il velivolo di quinta generazione F-35 e il sistema di difesa aerea Patriot (compresi i suoi missili).
Però, se si esternalizza la fornitura, non c’è il rischio di compromettere il raggiungimento dell’autonomia strategica europea?
È possibile. Il rischio, come più volte segnalato, è che si vada oltre l’acquisto dello stretto indispensabile, rischiando di compromettere lo sviluppo dei nuovi programmi europei che, a partire dall’inizio del prossimo decennio, potranno assicurare equipaggiamenti comuni più avanzati ai Paesi membri, rafforzando l’autonomia strategica del continente. Questa prospettiva è esemplificata dal sistema di difesa aerea italo-francese Samp-T, che è in corso di potenziamento sia nelle prestazioni sia nelle capacità produttive e che sarà disponibile già nel breve-medio periodo.
Durante il summit di Washington è stato annunciato che gli Usa continueranno a sostenere l’Ucraina tramite l’invio di materiale bellico, ma che il conto sarà pagato dagli europei. È possibile che questi acquisti rientrino nell’aumento?
Non è ancora chiaro. Va effettivamente considerato che, anche alla luce delle più recenti dichiarazioni americane (pur ricordando sempre che stanno diventando sempre più aleatorie e inaffidabili), da ora spetterà all’Europa farsi carico di garantire la sicurezza dell’Ucraina. Anche se si arrivasse nel breve periodo ad una sospensione degli attacchi russi (cosa non sicura), sarebbe comunque necessario fornire all’Ucraina nuovi equipaggiamenti — e il relativo munizionamento — per sostituire quelli distrutti o danneggiati, con una capacità di difesa autonoma per lo meno per un centinaio di giorni (e sempre che le garanzie internazionali risultino efficaci). Dopo l’esperienza di questi tre anni è inevitabile che anche l’Ucraina, come tutti i Paesi del mondo, si guardi bene dal fare affidamento solo sugli impegni e sugli accordi internazionali quando è in gioco la propria sopravvivenza. Tenendo conto che una parte importante degli equipaggiamenti ucraini è di origine americana, sarà dunque inevitabile ricorrere agli stessi fornitori.
Si può quindi dire che Trump abbia ottenuto quello che voleva?
In un certo senso sì. Da questo punto di vista non si può che “ammirare” il risultato ottenuto per ora dal presidente americano: un progressivo smarcamento dell’impegno americano dalla difesa dell’Ucraina e, più in generale, dell’Europa, peraltro pagato dagli Stati europei con un aumento dei loro acquisti americani. La maggiore “indipendenza” dell’Europa rischia di essere, quindi, azzerata dalla maggiore “dipendenza” tecnologica e industriale dagli Stati Uniti. Se l’Europa non cambierà rapidamente marcia e darà alla sua difesa e sicurezza comune la priorità che merita, rischia di compromettere seriamente ogni possibilità di rimanere autonoma in questo nuovo caotico mondo di predatori.