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Cara Europa, contro la Cina serve una strategia seria. L’intervento di Mayer

I leader europei si devono dotare di una strategia comune di medio e lungo periodo nei confronti del Dragone, strategia sino ad oggi del tutto assente. La sfida della Cina ha un valore paradigmatico perché fa comprendere a tutti qual è la dimensione su cui l’ Europa è chiamata a misurarsi

Mario Draghi al meeting di Rimini ha fatto riferimento ad una fase ormai superata: l’era liberale in cui dominava la fede nell’ efficienza dei mercati, nella riduzione del ruolo dello Stato, nello sviluppo di autorità regolatrici indipendenti dalla politica. A mio avviso questa ricostruzione di Draghi non è del tutto esatta. Sul piano delle idee non c’ è dubbio che il liberismo economico sia stata la visione assolutamente dominante, ma altrettanto non si può dire – se non in parte – sul versante della verità effettuale.

Una discrasia macroscopica tra discorso pubblico e dati di fatto è innanzitutto rappresentata dalla Cina, oltre che da altri Paesi Brics. Dopo il suo ingresso nel Wto il Dragone ha seguito solo a parole il paradigma liberista. Negli ultimi 25 anni – nonostante le altisonanti promesse di “opening up” – Pechino ha perseguito una politica di sostanziale chiusura: niente convertibilita piena della valuta, controlli rigidi e compartecipazioni opache che ostacolano gli investimenti stranieri, lauti aiuti di stato alle proprie industrie, messa in atto di una vasta gamma di misure protezionistiche. Nell’ ultimo quarto di secolo non c’ è stata dunque un’ economia internazionale fondata su un reale ed efficace “level playing field” di carattere globale. I processi di globalizzazione più che seguire la logica delle regole e delle liberta’ di mercato hanno spesso assunto un carattere asimmetrico per la mancanza di reciprocità dei margini di operatività tra le imprese e tra le nazioni.

In questo quadro è ben noto come le aziende cinesi abbiano potuto operare con un elevato grado di libertà in giro per il mondo, esattamente il contrario di quanto è accaduto (e accade tuttora) alle imprese straniere in Cina. Quando Pechino attacca la Casa Bianca per i dazi può anche avere le sue ragioni, ma non si può fare a meno di osservare “da che pulpito viene la predica”.

Nei due decenni passati i Paesi europei hanno preferito sorvolare su queste asimmetrie strutturali pur di attrarre capitali e flussi finanziari cinesi, talora anche per compensare le politiche di austerità della Commissione. Ma l’aver agito in ordine sparso – e caso per caso – è uno dei fattori che spiega l’irrilevanza dell’ Europa di cui sempre a Rimini ha giustamente parlato Mario Draghi. Come superare questa irrilevanza? A mio avviso una delle condizioni indispensabili è che l’ Unione europea trovi finalmente il coraggio di misurarsi con la grande sfida economica e politica rappresentata dal Dragone.

In questa fase di inedita incertezza per le erratiche e aggressive politiche commerciali del presidente Trump l’Europa non può vivere alla giornata. I leader europei si devono dotare di una strategia comune di medio e lungo periodo nei confronti del Dragone, strategia sino ad oggi del tutto assente. La sfida della Cina ha un valore paradigmatico perché fa comprendere a tutti qual è la dimensione su cui l’ Europa è chiamata a misurarsi. I cittadini di tutti gli orientamenti condividono l’ esigenza di una politica più assertiva nei confronti di Pechino, ma sinora la Cina ha abilmente giocato sulle divisioni partitiche e nazionali. È l’ ora di reagire con una politica capace di alternare carota e bastone – con l’ obiettivo di riequilibrare gradualmente i rapporti di forza tra Europa e Dragone.

Per una serie di circostanze la Cina ha più bisogno dell’Europa di quanto l’Europa abbia bisogno della Cina. Si tratta di un punto di forza che spesso viene sottovalutato. I ceti sociali che hanno perso lavoro, reddito e status in seguito alla globalizzazione a senso unico sanno di aver pagato cara la sudditanza dei loro governanti alla spregiudicatezza del Dragone. L’ opinione pubblica è pronta, ma c’ è ancora scetticismo perché inseguendo gli interessi particolari delle lobbies e/o la retorica delle piccole patrie non si va da nessuna parte. I cittadini europei hanno tutto l’interesse a fare finalmente e seriamente i conti con la Cina, ma devono sapere che per farli serve una lungimiranza politica di cui i leader europei sin ora non hanno dato prova.


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