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Comunque la si pensi, meno male che c’è Trump. L’opinione di Guandalini

The Donald in Alaska in missione di pace. È riuscito coinvolgere Putin. L’Europa e Zelensky invece di applaudire a questa prima stazione del lungo cammino per raggiungere un accordo tra Mosca e Kyiv, chiedono un ruolo. Caricando sul vertice una serie di richieste e condizioni che sanno di antico. Il Trump realista e pragmatico gli comunicherà per telefono l’esito dell’incontro. L’opinione di Maurizio Guandalini

Trump sta facendo quello che avrebbe dovuto fare l’Europa. Mediatore di pace del conflitto russo-ucraino. Ci mette la faccia. Si è reso conto delle difficoltà. Quindi il primo aggancio avviene con Putin. Cerca di coinvolgere il contendente più sfuggente. Fissano l’appuntamento in Alaska. Si parlerà di pace e forse di molto altro, come si conviene a due capi di superpotenze nucleari. Una caratteristica positiva del presidente degli Stati Uniti è quel suo fare tutto alla luce del sole. Senza sotterfugi. Anche nel criticare un giorno Putin, Zelensky e l’Europa e poi cambiare idea. Lo dichiara a viso aperto. Non ha il vizio di sviare per poi affidare il peggio ai retroscena. È un modo di fare spiazzante fuori dalle regole tenute fino ad ora nel circuito della politica e delle relazioni internazionali.

Trump e Putin si vedranno il 15 agosto. C’è qualcosa di clamoroso nella celerità del susseguirsi degli eventi. Inatteso. E molte speranze che qualcosa di buono possa uscire. Stupiscono la reazioni dell’Europa e di Zelensky. Lo sbracciarsi per dire che ci sono anche loro. Che almeno Kyiv deve sedere al tavolo. Snocciolando il sillabario delle condizioni e delle richieste che però appartengono a tempi addietro. La pace giusta, no a concessioni territoriale all’invasore, l’entrata dell’Ucraina nella Nato. Per Europa e Zelensky il tempo si è fermato a chissà quando. Non hanno una sana predisposizione a quello che potrebbe contemplare un accordo di pace. Di fine guerra. L’hanno dovuto ricordare prima Trump a Zelensky, “preparati a concedere dei territori”, poi il vice presidente Vance all’Europa, “si arriverà a un accordo dove entrambi i contendenti avranno motivi d’insoddisfazione”. E il trionfo del pragmatismo e del realismo. L’annullamento della ricerca superficiale di protagonismo dell’Europa. A tempo scaduto. Se un po’ di determinazione e quindi di coerenza fossero state presenti già all’inizio del conflitto probabilmente non saremmo arrivati a questo punto. Alla sindrome dell’esclusione. Così Zelensky che ancora deve entrare nell’idea che è urgente chiudere al più presto il conflitto perché il sentiment degli ucraini è cambiato, perché le morti in guerra pesano, perché le leve del comando stanno andando per loro conto.

Per Putin c’è un fardello di difficoltà dall’economia che può inginocchiarsi ulteriormente di fronte alla minaccia di future sanzioni degli Stati Uniti e da un’economia di guerra che non può durare all’infinito. Entrambi, Zelensky e Putin, hanno la necessità di giustificare le migliaia di giovani caduti al fronte e rispondere allo stress emotivo dei rispettivi popoli.

L’Europa da par suo invece di calmare Zelensky consigliandolo di non fare un dramma se non è invitato in Alaska aderisce in compagnia al rilancio. Di condizioni. Gravandole sul vertice. Roba vecchia. L’Europa non può assecondare posizioni che sanno di aumento della puntata. Per andare dove? Qualcuno ha in mente ancora la vittoria della guerra contro la Russia? È giunta l’ora di intravedere una fine. Avremmo preferito un’entrata in scena dell’Europa più strutturata. Più collaborativa. Attraverso dei suggerimenti rispetto a un accordo di pace possibile tra Ucraina-Russia. Da casa, certo, senza problemi. A partire dalle sanzioni. Lasciando presagire che verranno tolte alla Russia appena cesseranno le armi. Oppure che lo scongelamento delle rimesse russe in Occidente avverrà dopo la firma di un piano di sicurezza dei territori ucraini. E, infine, la possibilità di ritornare ad acquistare il gas e il petrolio russo all’atto della firma di un’intesa duratura tra le parti.

Non siamo alla stregua della pace giusta (che non esiste, l’abbiamo scritto e spiegato nel dettaglio in diversi post: in un accordo da ricercare dopo la fine di un conflitto dove, per forza maggiore, è necessario nascondere il vincitore, che c’è sempre, è una sostanziale sgrammaticatura di linguaggio invocare la pace giusta), e nemmeno che le condizioni di pace le debbano decidere gli ucraini. Questi sono slogan per accontentare Zelensky. L’Europa deve fare uno sforzo di maturazione. Oggettivamente non ha alcuna leva in mano per determinare condizioni. Può riscattarsi appellandosi a quella coerenza che non ha dimostrato dall’inizio del conflitto. Convincendo Zelensky ad acquietarsi perché non ha vinto la guerra e ora si deve trattare su concessioni reciproche. Un’opera di rivendicazione dell’impossibile su spinta dell’Europa suonerebbe da pretesto per Putin a continuare la guerra. A quel punto si cadrebbe nella trappola di gravare oltre modo lo scenario geopolitico corrente. Con l’Europa che non avrebbe l’appoggio delle nazioni a spingersi in un conflitto insensato e senza fine certa che ha già pesato fuori misura sulle tasche dei cittadini del Vecchio Continente.

La guerra in Ucraina ha spezzettato la globalizzazione, ha chiuso i Paesi in aree geopolitiche di appartenenza, ha installato preclusioni ideologiche assurde, issato muri nello sport e nella cultura (il divieto a un prestigioso direttore d’orchestra russo e a un valente pianista ucraino – ma sostenitore di Putin – di esibirsi in Italia è l’apice del no sense), pacchetti su pacchetti di sanzioni che hanno fatto molto male ai Paesi che le hanno inflitte. Gli imprenditori ben sanno quanto il costo dell’energia incide sui costi della competitività di prodotto che ha generato la maggioranza delle crisi aziendali correnti. Ben prima dei dazi. Senza aver trovato alcuna soluzione ma rimandando a una meschina rassegnazione. La risposta della politica, quando c’è stata, si è limitata a questo. Vale la medesima litania verso le famiglie che si ritrovano a pagare bollette fuori dalla grazia di Dio. Possibile continuare con quest’approssimazione?


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