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Così si combatte il maschilismo al tempo dei social. Parla Barbara Strappato (Polizia postale)

“Le donne sono oggetto di maggiore aggressività. Il linguaggio di odio sul web riguarda innanzi tutto loro, le più odiate nel 2024, con commenti che concernono il corpo, l’abbigliamento e altro”, spiega Barbara Strappato, dirigente della prima divisione del Servizio Polizia postale e per la sicurezza cibernetica, deputato al contrasto dei crimini online. Ma non solo. Oltre alle aggressioni online, c’è “la pubblicazione di immagini senza consenso al termine di relazioni, o, come nel caso della pagina ‘Mia moglie’, anche in costanza di relazione. Su tutto questo dobbiamo tutti riflettere”

Tre cuoricini e una pagina Facebook, intitolata “Mia moglie”, per mostrare pubblicamente l’intimità della propria consorte o compagna. Indisturbati e impuniti per anni, oltre 32.000 uomini hanno pubblicato senza consenso, immagini private. Scatti rubati per un “gioco” in una piazza virtuale, incitando a commenti osceni. Circa 3000 le segnalazioni da parte di donne ritratte a loro insaputa ma si attendono le denunce. La vergogna e, per molte donne, il ricatto della dipendenza economica costituiscono ora un’altra violenza.

Alcuni uomini, dopo la chiusura della pagina social “per violazione delle policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti”, avrebbero dichiarato di aver postato con il consenso della compagna. È l’ultima vicenda all’attenzione mediatica che offende il mondo femminile, catturando interesse e curiosità. Unanime lo sdegno della stampa estera. “Mia moglie” non è un caso isolato, per una diffusa cultura del dominio sulla donna che alimenta una violenza digitale strutturale. Mogli, compagne, amanti condivise online, come in un album di figurine. Una sorta di stupro di gruppo virtuale. Responsabilità individuale che diventa collettiva.

Dopo la chiusura della pagina sembra siano già nati altri siti. È l’atteggiamento sfidante di un “branco” che, in un sistema patriarcale in crisi, vorrebbe ristabilire paradigmi di gerarchia di un’asserita virilità. In una convinzione di impunità, per un “vanto” che utilizza una pagina pubblica, la condivisione sembra quasi legittimare la perversione. Complicità assoluta, anche per comportamenti vili.

Dalla piazza virtuale, ora, l’identità di molti è nella piazza reale. Nomi e volti di persone “rispettabili”, più o meno note, svelati da chi ha potuto consultare la pagina Fb prima della chiusura. Lo sconcerto dilaga sulle comunità, sulla vita privata di famiglie e figli, aggiungendo altra violenza.

Al di là dello sviluppo delle indagini, vale la pena di interrogarsi su altri piani. Aspetti non solo giuridici e giudiziari, ma umani, si intrecciano senza risposte. E ci si chiede quanti si riconoscano in un sistema maschilistico che utilizza ogni mezzo per manifestare disprezzo per le donne.

Il “caso Pélicot”, in Francia, ha indignato il mondo. La moglie ritratta dal marito sedata e ignara, “offerta” ad altri uomini per anni. Una donna che ha, tuttavia, aperto le porte del processo nei confronti dell’ex coniuge per mostrare che è l’autore di questi crimini che deve avere vergogna. Proprio come la giovane Fiorella, nel 1978, difesa dall’avvocata Tina Lagostena Bassi, nel processo di stupro, aveva consentito per la prima volta l’ingresso delle telecamere in un’aula giudiziaria per squarciare il velo di omertà sui pregiudizi sociali nei procedimenti giudiziari per violenza sessuale. E possiamo, ancora, risalire al 1300 quando Eleonora d’Arborea introduceva una norma rivoluzionaria contro la violenza e lo stupro nella “Carta de logu”, l’antico diritto sardo.

Il numero dei femminicidi ha superato i cinquanta, nella prima parte di quest’anno, per mano di coniugi o ex compagni, mentre il dibattito è acceso tra i giuristi sull’introduzione di un reato specifico nel nostro ordinamento, come previsto dal testo normativo in iter che dà atto che la disuguaglianza nelle relazioni costituisce un dato di fatto storico, di cui la violenza è la più esplicita rappresentazione.

Quanto vale una donna? Cosa significano le relazioni affettive? Terreno di gioco e di superficialità, la vita degli altri?

La violenza nasce da gesti, comportamenti e linguaggio quotidiani. Sottrae senso a legami e sentimenti, annullati nella realtà non solo virtuale. Travolge certezze e relazioni. Una violenza che attiene non alla mera tecnologia ma alla coscienza. In una società che ha smarrito il senso dei sentimenti, non è sufficiente oscurare un sito per dare luce al cuore e alla mente. Le donne fanno da sempre la storia della società ma il cambiamento sembra ancora non pienamente realizzarsi neppure sui propri corpi.

Con coraggio, il mondo femminile è chiamato, oggi più che mai, a testimoniare la vera forza, attraverso una ferma consapevolezza. Denunciando, quando necessario. Coinvolgendo anche quegli uomini che non tollerano più di essere complici di un sistema maschilista. Per recuperare, insieme, l’esperienza autentica dell’incontro e guardare a una società migliore.

Ne parliamo con Barbara Strappato. Una brillante carriera in attività investigativa contro la violenza nei confronti delle donne e la pedopornografia, e dirigente, dal 2020, della prima divisione del Servizio Polizia postale e per la sicurezza cibernetica, deputato al contrasto dei crimini online.

Il servizio Polizia postale è impegnato a garantire la sicurezza in rete di uno “spazio” che evidenzia, di frequente, condotte inappropriate e comportamenti illeciti. Ritiene che l’attuale sistema normativo sia sufficiente a supportare l’attività di contrasto all’utilizzo distorto in web e attraverso i social?

Da quando, oltre venti anni, mi occupo di violenza di genere, provvedimenti legislativi e nuove procedure hanno rafforzato le misure di tutela, anche sulla spinta di fatti di cronaca che hanno molto colpito la collettività. Dall’inserimento, nel codice penale, di fattispecie come gli atti persecutori e la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, fino al disegno di legge sul reato di femminicidio. Tra le drammatiche vicende, il suicidio di Tiziana Cantone, dopo la diffusione di video intimi privati pubblicati e ripetutamente condivisi. Persone famose vittime di stalking ne hanno parlato pubblicamente, dando voce anche a chi aveva minore possibilità di farsi ascoltare. L’attenzione e la sensibilità verso questi reati sembra essere cambiata ma tanta strada deve essere ancora fatta. È una sfida che dobbiamo raccogliere e vincere. Quando questi reati vengono perpetrati attraverso internet hanno una pervasività “nuova” che travolge chi li subisce. Certamente la repressione è importante ma la prevenzione lo è di più. Dobbiamo tutte autoproteggerci, essere gelose della nostra persona, del nostro corpo e capovolgere quel senso di vergogna che sembra avere il sopravvento, denunciare per ricevere adeguate tutele. Sono gli altri a dover provare vergogna. Una corretta conoscenza dei comportamenti virtuosi in rete, essere informati e aggiornarsi ma soprattutto chiedere aiuto e non restare isolati nella sofferenza. È questo cui dobbiamo tendere.

I comportamenti illeciti nella realtà virtuale sono, spesso, ritenuti riferibili ai più giovani per inappropriata educazione tecnologica e per la difficoltà di comprendere la gravità delle azioni digitali e le relative conseguenze. Eppure, come ha svelato il recente caso della pagina pubblica Facebook “Mia moglie”, sembra che il mondo degli adulti costruisca in web “piazze” per fenomeni drammatici. Cosa dicono i dati che la Polizia postale esamina nei confronti delle donne?

È vero che in molti casi i minori che commettono reati su internet non comprendono la gravità delle azioni commesse. L’età dei ragazzi che subiscono i reati e l’età di quelli che li commettono sono simili, come lo sono i luoghi che frequentano, dalla scuola allo sport e agli hobby. Dobbiamo dare tutti il nostro contributo perché i giovani crescano consapevoli, si sentano responsabili verso gli altri, comprendano quanto possa essere potente la gentilezza, delle parole e delle azioni, nella loro vita. L’età in cui si comincia a far uso di dispositivi tecnologici si è molto abbassata, 8/9 anni. Sono potenti strumenti che espongono a rischi anche gravi. Bambini di soli 9 anni sono vittima di reati di estorsione sessuale, usano linguaggi inappropriati e, lasciati soli, fruiscono di contenuti non adatti alla loro età, mentre anche gli adulti continuano ad avere scarsa conoscenza sul corretto utilizzo degli strumenti tecnologici dai quali, in qualche modo, “dipendono”. Le donne sono oggetto di maggiore aggressività. Il linguaggio di odio sul web riguarda innanzi tutto loro, le più odiate nel 2024, con commenti che concernono il corpo, l’abbigliamento e altro. E poi la pubblicazione di immagini senza consenso al termine di relazioni, o, come nel caso della pagina “Mia moglie”, anche in costanza di relazione. Su tutto questo dobbiamo tutti riflettere, l’indignazione che si è levata, con circa 3000 segnalazioni ricevute in soli tre giorni sul nostro sito, quello del commissariato on line, è un inizio. Anche l’attenzione che i media continuano a mantenere su questo caso è importante. Alle più giovani, facciamo comprendere che ogni relazione sentimentale deve essere ispirata al rispetto. Ogni forma di controllo può essere preludio ed è essa stessa una forma di prevaricazione, una prova di forza. Le persone difficilmente cambiano, a volte cade soltanto la maschera.

Dopo la chiusura della pagina “Mia moglie”, gli utenti si sarebbero già “riorganizzati” in altre piattaforme. Il “gioco” resta irrinunciabile, in un immaginario scenario di impunità?

Ogni qualvolta ci sono attività investigative che concernono una piattaforma, gli utenti migrano su altre che promettono, a volte assicurano, maggiore anonimato. La Polizia postale lo sa bene ed è pronta. Monitoriamo quello che accade sulle piattaforme la cui collaborazione, comunque, sta migliorando. Quando i reati sono gravi, rimuovono i contenuti e, nelle ipotesi più gravi, condividono le informazioni dei loro utenti con le forze di polizia. I gestori dei social devono fare la loro parte nella sicurezza informatica. Rimangono sempre tracce e noi le individuiamo. L’impunità non esiste.

In una società che sembra aver smarrito il senso di autentiche relazioni, l’accanimento e la rabbia nei confronti della donna è generato, anche via web, da ruoli stereotipati e discriminatori. In definitiva, la rete è solo un veicolo amplificatore di soggetti di una comunità indebolita da un valido rapporto con se stessi, in assenza di un sistema valoriale?

È una domanda complessa e la risposta non può essere semplice. Ci sono tutte le componenti che ha detto in diverse composizioni. Ma una cosa è sicura, le donne sono cambiate e devono continuare a cambiare senza accettare né parole né tantomeno comportamenti che non siano pienamente rispettosi della propria persona. È necessaria un’azione collettiva, condotta consapevolmente, con la forza e la determinazione di chi sa che sta facendo la cosa giusta. Il rispetto comincia fin dalla giovanissima età. Educhiamo i nostri ragazzi al rispetto. Avremo una società migliore.


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