Il Meeting di Rimini 2025 si annuncia come un luogo di contraddizione fertile: parlare di deserto in un tempo di iperconnessione, di speranza mentre la cronaca restituisce scenari di guerra, di costruzione mentre il Paese discute di crisi e riforme. Un paradosso che si scioglie nella concretezza di un popolo di volontari che rende possibile una settimana fitta di appuntamenti, dialoghi istituzionali e testimonianze. Tanti i big in programma compresa la premier Meloni e i due ex premier Draghi e Letta. Il colloquio con il direttore della kermesse, Emmanuele Forlani
Il titolo più che un manifesto, è un anelito. Un lavoro corale. “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”. Il Meeting di Rimini 2025 si annuncia come un luogo di contraddizione fertile: parlare di deserto in un tempo di iperconnessione, di speranza mentre la cronaca restituisce scenari di guerra, di costruzione mentre il Paese discute di crisi e riforme. Un paradosso che si scioglie nella concretezza di un popolo di volontari – tremila quest’anno – che rende possibile una settimana fitta di appuntamenti, dialoghi istituzionali e testimonianze. L’avvertenza, per chi frequenta la kermesse che inizia domani e che ha avuto l’imprimatur di papa Leone XIV, è quella di rendersi conto, sin da subito, di essere un porto franco in cui tutti esprimono liberamente la propria opinione, benché fortemente evocativo e identitario. Formiche.net ne ha parlato con Emmanuele Forlani, direttore del Meeting, alla vigilia dell’apertura.
Direttore, il titolo scelto per questa edizione è molto evocativo. Che cosa significa oggi parlare di deserto?
Il deserto non è semplicemente l’assenza di qualcosa. È soprattutto l’assenza di un significato, di uno scopo, di un motivo per fare le cose. Anche in un mondo iper-connesso, si può essere deserti. Con questo titolo vogliamo interrogare il presente e mostrare che, proprio lì dove sembra non esserci nulla, si possono gettare semi nuovi.
Arriviamo alle parole di Papa Leone XIV…
L’appello del Santo Padre ci trova grati e ci richiama alla speranza. Anche in situazioni drammatiche, persino in luoghi di guerra, si può documentare che è possibile costruire con mattoni nuovi. È il filo rosso che attraverserà gli incontri istituzionali, politici, culturali.
Molti osservatori leggono il Meeting come una sorta di “zona franca” della politica. È d’accordo con questa lettura?
È quello che cerchiamo di essere: un luogo identitario che però favorisce il dialogo più ampio possibile. Per questo siamo felici della presenza di leader come Mario Draghi, Giorgia Meloni ed Enrico Letta, oltre a tanti parlamentari, amministratori, manager pubblici e alti rappresentanti del mondo ecclesiastico. Tutti interverranno nel merito delle responsabilità che oggi ricoprono, senza schemi precostituiti.
Se dovesse indicare, dal punto di vista tematico, ciò che emergerà da questa edizione quali direttrici seguirebbe?
La prima è quella educativa, che intendiamo a 360 gradi: dal sistema scolastico alla trasmissione di valori e conoscenze per le nuove generazioni. La seconda è il lavoro: abbiamo voluto dedicare a questo tema mostre e incontri che vanno dall’analisi del mercato fino agli strumenti concreti per la crescita e l’occupazione.
Accanto al dialogo politico, c’è anche una forte attenzione al ruolo delle istituzioni. Quest’anno avrete tra gli ospiti anche Daria Perrotta. Un modo per dare spazio, oltre che alla politica, anche alla parte più “tecnica” dell’apparato statale?
Certo. Siamo consapevoli che la pubblica amministrazione ha un ruolo decisivo per lo sviluppo del Paese, sia a livello nazionale che territoriale. Siamo lieti che la Ragioniera generale dello Stato abbia accettato di partecipare: la sua presenza testimonia l’importanza di questa dimensione. E riteniamo l’ente che rappresenta, benché sconosciuto ai più, una leva fondamentale per lo sviluppo economico dell’Italia.
Il Meeting da sempre poggia su una straordinaria macchina organizzativa.
E su un popolo di volontari. Negli ultimi dieci giorni, 500 persone hanno lavorato all’allestimento, molte delle quali non vivranno nemmeno il Meeting. Durante la settimana saranno in 2.500: giovani, giovanissimi, adulti. Sono loro il primo segno che si può costruire con mattoni nuovi, perché si mettono gratuitamente a servizio di tutti.
In conclusione, che cosa spera resti dopo questi giorni?
Spero resti la consapevolezza che il deserto non è la fine, ma l’inizio di un cammino. Come ci ha ricordato il Santo Padre, c’è una strada che passa dalla speranza e dalla testimonianza concreta. Il Meeting è nato per documentare proprio questo e le testimonianze che avremo, a partire da quelle in apertura domani, ne sono la prova lampante.