Il vertice di Washington ha restituito l’immagine di un’alleanza occidentale attraversata da tensioni e fragilità, soprattutto sul fronte della leadership americana. In questo quadro, la riflessione storica diventa bussola per interpretare le sfide attuali. È Calogero Mannino, già ministro e storico esponente della Democrazia cristiana, che invita a guardare al patrimonio politico e ideale di De Gasperi e dei padri fondatori dell’Europa per comprendere il presente: un Occidente che rischia di perdere la propria coesione e un’Europa chiamata a dotarsi finalmente di una difesa comune
Non tutto è perduto. E la visione che mosse il democristiano Alcide De Gasperi, settant’anni fa, oggi è più attuale che mai. Il vertice di Washington ha restituito l’immagine di un’alleanza occidentale attraversata da tensioni e fragilità, soprattutto sul fronte della leadership americana. In questo quadro, la riflessione storica diventa bussola per interpretare le sfide attuali. È Calogero Mannino, già ministro e storico esponente della Democrazia cristiana, che invita a guardare al patrimonio politico e ideale di De Gasperi e dei padri fondatori dell’Europa per comprendere il presente: un Occidente che rischia di perdere la propria coesione e un’Europa chiamata a dotarsi finalmente di una difesa comune.
Onorevole Mannino, il vertice di Washington ha mostrato un’alleanza occidentale in difficoltà. Lei ha più volte richiamato le radici della costruzione europea, citando De Gasperi, Adenauer e Schuman. Che cosa significa, oggi, tornare a quelle figure?
Le radici sono lì. De Gasperi, Adenauer, Schuman, Spaak, Ramadier : tutti cattolici, tutti provenienti da quella corrente di pensiero che, dopo Leone XIII, nel vuoto determinato dal disastro del nazifascismo e davanti al pericolo di consegnare l’Europa a Stalin, seppero rifondare la democrazia nei propri Paesi. Yalta prima e Postdam dopo portavano la linea di confine nel cuore dell’Europa. Lambiva pure l’Italia con la Iuhoslabis di Tito. Questi uomini capirono che il futuro stava nell’unione. De Gasperi, in Italia, si batté strenuamente per il voto alle donne, avviò la Comunità europea di Difesa e poi la Comunità economica europea. Lo fece con lucidità: francesi e tedeschi avevano bisogno di regolare i propri conti, l’Italia doveva risolvere il problema energetico. Allora come oggi.
Ma quella stagione non fu priva di ostacoli.
Certo. Nel 1954 De Gaulle mise in difficoltà il progetto di difesa comune. De Gasperi, negli ultimi atti della sua vita, scrisse a Fanfani: passava il testimone a una nuova generazione. Ma l’idea restava: un’Europa capace di unirsi sul terreno della difesa e delle istituzioni. Se la Comunità di Difesa fosse nata allora, la storia del continente sarebbe stata diversa.
In queste ore molti osservatori hanno letto nel comportamento di Trump un segnale di ricucitura dell’unità occidentale. Lei come interpreta questo passaggio?
Trump ieri ha cercato di ricucire uno strappo. Ricordiamo la prima volta con Zelensky: fu una sorta di tragicommedia che indebolì la percezione dell’unità occidentale. A Washington si è vista la debolezza degli Stati Uniti in un contesto complicato. Hanno sciupato la fotografia di una ritrovata coesione, e solo in extremis hanno provato a rimediare. L’imperativo categorico, tuttavia, resta quello dell’unità dell’Occidente. A maggior ragione a fronte dell’avanzare di altre potenze ostili.
In questo scenario qual è il ruolo dell’Italia e della premier Giorgia Meloni?
La presidente del Consiglio non ha fatto parte del gruppo dei cosiddetti “volenterosi”, ma si è accorta che non esiste alternativa all’Europa. Non c’è alcun rapporto bilaterale che tenga: il destino dell’Italia è dentro la cornice europea. È lì che bisogna giocare la partita e lei sta seguendo coerentemente questo percorso.
Per Europa, non priva di divisioni, quale strada si apre?
Bisogna ripartire da De Gasperi. Il progetto democristiano non fu mai di fazione. Ambienti paramassonici, che Falcone chiamava le strutture parallele degli Stati, cercarono in ogni modo di impedire che la Dc governasse a lungo. Ci riuscirono, ma il progetto resta lì: un’Europa che si strutturi in senso federalista, con una difesa comune e un comando politico unico dell’esercito. Voglio chiarire un concetto anche sul versante dei rapporti con l’alleato transatlantico. L’America senza l’Europa non è più nulla. Ma, al tempo stesso, l’Europa senza la propria unità resta irrilevante. È tempo di tornare allo spirito dei padri fondatori.