La Cina smentisce l’ipotesi di inviare truppe in Ucraina e conferma la sua posizione di neutralità, mentre in Europa cresce il dibattito sulle sue reali intenzioni. Tra dichiarazioni di pace e azioni concrete, emerge un approccio che punta a consolidare il ruolo cinese come mediatore internazionale senza compromettere i propri interessi strategici
La Cina non invierà truppe in Ucraina nell’ambito di una missione di peacekeeping. Dopo alcuni giorni di speculazioni, alimentate da un articolo del quotidiano tedesco Die Welt am Sonntag che lo scorso sabato aveva citato fonti diplomatiche europee aggiungendo che un’eventuale partecipazione cinese poteva essere un elemento decisivo per accrescere la disponibilità della Russia ad accettare la presenza di forze straniere in Ucraina, Pechino ha smentito la notizia. Il portavoce del ministero degli Esteri, Guo Jiakun, ha respinto con decisione l’ipotesi, definendo “false” le indiscrezioni circolate e ribadendo che la posizione di Pechino sulla crisi ucraina “è sempre stata coerente e chiara”.
La diffusione della notizia di un possibile coinvolgimento diretto della Cina in un’operazione internazionale in Ucraina ha tuttavia acceso un dibattito in Europa, diviso tra aperture e sospetti. Da un lato, diversi analisti hanno evidenziato che il coinvolgimento di Paesi del cosiddetto “Sud globale”, come la Cina, avrebbe potuto rafforzare la legittimità e l’accettazione di una missione di peacekeeping agli occhi della comunità internazionale e persino di Mosca. L’inclusione di attori non occidentali, infatti, è considerata da alcuni osservatori una condizione necessaria per superare le resistenze russe verso una presenza militare straniera ai confini del proprio spazio d’influenza.
Dall’altro lato, però, non sono mancate le perplessità. All’interno dell’Unione europea prevale lo scetticismo circa le reali intenzioni di Pechino: “C’è anche il rischio che la Cina voglia principalmente spiare l’Ucraina e, in caso di conflitto, assumere una posizione chiaramente filo-russa anziché neutrale”, ha dichiarato una fonte diplomatica europea al quotidiano Die Welt am Sonntag. Le accuse di possibili attività di spionaggio e di influenza non sono nuove nei confronti della Cina, che già in altri scenari è stata criticata per pratiche opache.
Sin dall’inizio della guerra, Pechino ha mantenuto una posizione di neutralità formale, accompagnata da frequenti richiami alla pace. Alla vigilia dei colloqui in Alaska, in una conversazione telefonica con Vladimir Putin, Xi Jinping aveva ribadito che la Cina avrebbe continuato a sostenere i negoziati, indipendentemente dall’evoluzione del conflitto. Anche in occasione delle celebrazioni per il Giorno dell’Indipendenza ucraino, Volodymyr Zelensky ha riferito di aver ricevuto una lettera da Xi: un messaggio privo però di qualsiasi riferimento diretto alla guerra. “Sono pronto a collaborare con voi per guidare le nostre relazioni bilaterali verso uno sviluppo costante e a lungo termine e apportare maggiori benefici ai popoli di entrambi i Paesi”, ha scritto il presidente cinese. Una scelta significativa, soprattutto alla luce della ferma contrarietà del presidente ucraino all’ipotesi, avanzata dal ministro russo Sergej Lavrov, di includere la Cina tra i garanti della sicurezza, insieme a Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Russia.
Dietro la retorica pacifista, le azioni concrete della Cina mostrano un ampio divario tra parole e fatti. Pechino si è opposta alla riduzione delle importazioni di petrolio russo, una misura che avrebbe potuto portare a una possibile de-escalation, e continua a garantire a Mosca sostegno economico e tecnologico. Recentemente, Kyiv ha sanzionato 39 individui e 55 aziende, tra cui dieci cinesi, accusati di fornire componenti per i droni – dai motori alle telecamere, fino a microchip e risonatori.
Questa ambiguità potrebbe riflettere un calcolo strategico: rafforzare la propria immagine di mediatore senza adottare misure realmente incisive per fermare la guerra. Così, la Cina assicura la sopravvivenza del partner russo, indebolisce la credibilità occidentale e preserva i propri interessi. Se la pace arrivasse, Pechino rivendicherebbe il suo ruolo costruttivo; se il conflitto perdurasse, avrebbe pronta la narrativa di colpa contro l’occidente.