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L’Europa dorme sulla Cina. Il caso MediaWorld e le amnesie della Germania

Nessuno a Berlino come a Bruxelles, per ora, ha battuto ciglio sul blitz cinese su MediaWorld, che colpisce al cuore la grande distribuzione tecnologica europea. In compenso si alzano le barricate su Commerzbank e si mettono sotto tiro le big tech americane. L’economista Torlizzi: l’Ue si svegli sulla Cina e tiri fuori dal cassetto il golden power

Avere le armi e non usarle. O, peggio, non saper riconoscere un ospite indesiderato. Succede in Europa, dove da una parte ci si affanna per difendere gli interessi nazionali, dall’altra si aprono le porte e si stendono tappeti rossi a investitori piuttosto abili a mascherare la loro natura predatoria. Il riferimento, per nulla casuale, è all’avanzata cinese nel Vecchio continente. La decisione del governo di Giorgia Meloni di porre un argine ai capitali del Dragone che si annidano nelle principali realtà industriali strategiche italiane, ha riportato in auge una questione: in Europa, troppo spesso, in materia di investimenti esteri si applica il principio dei due pesi e delle due misure. Per intendersi, si accolgono a braccia aperte investitori ben vestiti ma che, in potenza, rappresentano una minaccia alla sicurezza. D’altro canto si tenta di boicottare chi vuole investire e sulla carta di identità ha scritto Paese amico. Di qui a un mancato uso del golden power su scala continentale, che pure esiste con il regolamento 452 del 2019, il passo è breve.

Un esempio è il recente blitz cinese in Germania. Silenziosamente, ma con precisione chirurgica, la Cina ha messo un piede nel cuore della distribuzione elettronica europea. Il colosso cinese dell’e-commerce JD.com ha, infatti, annunciato l’acquisizione del gruppo tedesco Ceconomy, la holding tedesca che controlla MediaMarkt e Saturn. L’operazione regala al Dragone l’accesso a due marchi simbolo del retail tecnologico tedesco e italiano: MediaWorld e Unieuro. Con il controllo di Ceconomy, JD.com ottiene, infatti, un accesso indiretto anche a Unieuro, in quanto, la holding tedesca detiene il 23,4 % della francese Fnac Darty, che nel 2024 ha acquistato la catena italiana. Un affare da 2,2 miliardi di euro, con un’offerta pubblica d’acquisto al prezzo di 4,60 euro per azione.

Attenzione, la mossa non è solo economica, ma geopolitica e in Italia dovrebbe accendere più di un campanello d’allarme. Se l’anno scorso per l’entrata dei francesi di Fnac in Unieuro il golden power non si era attivato, in questo caso il governo potrebbe muoversi in modo diverso, visto che, pur avvenendo all’estero, tale operazione potrebbe avere ricadute dirette sull’economia italiana, per giunta per mano di un investitore cinese. In Germania (e fuori), tuttavia, nessuno ha battuto ciglio, nonostante la cifra e la portata del merger coi cinesi. E pensare che, da quando Unicredit ha cominciato a scalare Commerzbank, secondo istituto tedesco e profondamente legato ai Lander, Berlino ha immediatamente alzato le barricate. Con il governo di Friedrich Merz che, nelle scorse, ha chiaramente fatto intendere di non essere disposto ad ammainare la bandiera tedesca su Commerzbank.

Anche l’Europa, però, si è comportata in modo ambiguo. Lo dimostrano almeno due vicende. Per rimanere sempre nell’alveo bancario, quando il governo italiano è intervenuto nella partita tra Unicredit e Banco Bpm (banca italiana che comprerebbe un’altra banca italiana), applicando a mezzo decreto alcuni obblighi alla possibile nascitura realtà bancaria qualora l’Ops di Gae Aulenti su Banco andasse a buon fine, ricorrendo alla stessa normativa sul golden power, la Commissione europea ha subito fatto notare che tali prescrizioni avrebbero potuto cozzare con le regole europee in materia di concentrazione bancaria.

Per non parlare poi del caso più eclatante, quello che chiama direttamente in causa Google e Meta. Partendo dalla prima, dopo aver confermato, lo scorso settembre, un’ammenda da 2,4 miliardi a Google per abuso di posizione dominante nell’ambito della comparazione dei prodotti, pochi mesi fa Bruxelles ha accusato Mountain view di non aver rispettato il Digital markets act (Dma). Un trattamento riservato anche ad altri giganti statunitensi, quali Meta ed Apple ambedue accusate di aver violato i regolamenti e per questo punite con ammende di centinaia di milioni.

Formiche.net ne ha parlato con l”economista Gianclaudio Torlizzi. “Nel gran rumore dei dazi è passata sotto traccia una dinamica ben più pericolosa per l’industria europea. Il commercio con la Cina sta subendo un’accelerazione in grado di ridisegnare gli equilibri industriali del continente. Il secondo shock cinese non è più una previsione: è già qui, e si è intensificato. E, in settori chiave come l’auto elettrica e la robotica, Pechino ha adottato una politica industriale iper-aggressiva: moltiplicare aziende e capacità produttiva fino a innescare guerre di prezzo interne, per poi riversare l’eccesso di offerta sui mercati esteri. È un modello cento fiori che, in pochi anni, ha triplicato il numero di aziende cinesi attive nella robotica intelligente”, spiega Torlizzi.

Che poi tira direttamente in ballo l’ultimo shopping cinese in Germania e il mancato uso del golden power in Europa. “A confermare l’assertività di Pechino arriva anche il salto di qualità nel controllo delle filiere. Dopo aver conquistato marchi iconici dell’elettronica, ora punta alla distribuzione. Il colosso JD.com ha rilevato il controllo della tedesca Ceconomy, proprietaria di oltre mille punti vendita MediaMarkt in Europa e di 144 negozi in Italia con il marchio MediaWorld. Una mossa che non solo rafforza la presenza cinese nei canali di vendita al dettaglio, ma spalanca le porte a una penetrazione ancora più capillare dei suoi prodotti sul mercato europeo”. Morale, “per l’Europa, il tempo delle illusioni è finito: o si rivede la strategia industriale adottando strumenti come il golden power e i dazi in maniera estensiva, o il secondo shock cinese rischia di trasformarsi in un colpo definitivo alla sua centralità manifatturiera”.


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