“In caso di pareggio tre a tre sarebbe un grosso successo per la destra. Cinque a uno invece sarebbe un grosso successo per la sinistra”, spiega Carlo Galli, docente dell’Alma Mater Università di Bologna. E mentre Meloni si avvicina con tranquillità alla partita delle regionali, il Pd ancora cerca una sintesi con il Movimento 5 Stelle
Giorgia Meloni, dice a Formiche.net il professor Carlo Galli, uno dei politologi più autorevoli del panorama nazionale, “è diventata una presenza abbastanza rassicurante per gli italiani, è come se si pensasse che se c’è lei non ci sono salti nel buio, quindi Meloni affronta le regionali senza dipendere direttamente dai risultati”. In questa ampia conversazione, il docente dell’Alma Mater Università di Bologna analizza la postura dei due schieramenti in vista delle regionali d’autunno, partendo dalle difficoltà strutturali del centrosinistra.
Anche sulle regionali la posizione del Pd è troppo subordinata ai 5 Stelle?
Non “troppo”, è subordinata di fatto, ma non può non essere così perché il Pd è un partito meno coeso dei 5 Stelle e deve fare i conti con una differenziazione delle realtà regionali in cui governa. Ovvero, deve fare i conti con un ceto politico sostanzialmente indipendente rispetto alla segreteria nazionale, mentre invece i 5 Stelle non hanno particolari soggettività politiche sul territorio. In pratica decide tutto Conte. Inoltre il Pd è un partito che ha strutturalmente bisogno di governare e deve portare a casa dei risultati. Per fare questo deve realizzare alleanze con il M5S che, di contro, può anche stare all’opposizione.
Il Pd all’opposizione non ci sa stare?
No, non è il suo posto. Era nato ed è rimasto un partito di governo, per cui deve tentare a tutti i costi di vincere le elezioni. Ha bisogno di alleanze. E Conte, che non è uno sprovveduto, si fa pagare caro. Dunque, la risposta alla sua domanda è: non è “troppo” subordinato, è semplicemente subordinato secondo necessità.
La tenda del centrosinistra ha speranza di essere strutturale?
Non è alleanza armonica, né programmatica: quello che sta capitando adesso a livello di costruzione delle alleanze regionali non è prodromico rispetto a un’alleanza di tipo strategico, politico-culturale e programmatico, a livello nazionale per il 2027. In seguito, forse, si arriverà almeno a marciare uniti nel 2027, ma certamente adesso Conte sottolinea continuamente che tutto quello che si fa avviene pezzo per pezzo, sulla base di circostanze ogni volta diverse, che non corrispondono a un disegno politico complessivo.
Campania e Puglia rischiano di non essere più del centrosinistra?
Se non capiteranno disastri sotto il profilo giudiziario, che sono sempre in agguato, o per una improvvisa rottura di alleanze, dovrebbero rimanere al centrosinistra. In Puglia c’è la questione Decaro che porterà, io credo, a casa il risultato perché anche lui vende cara la propria capacità politica. Cambiare un quasi-candidato in corsa potrebbe portare molto male. Per cui io vedo relativamente plausibile l’ipotesi che Decaro sia il candidato unitario del centrosinistra in Puglia, e consegua una vittoria abbastanza tranquilla. Per quanto riguarda la Campania, nonostante ci sia una grossissima differenza fra un soggetto politico come De Luca e Fico, ritengo la vittoria relativamente probabile. La Toscana è tradizionalmente una regione rossa. Quello che fa la differenza sono delle regioni più in bilico, come le Marche e come la Calabria, mentre il Veneto è una regione leghista.
Quali previsioni fare dunque?
In caso di pareggio 3 a 3 sarebbe un grosso successo per la destra. Cinque a uno invece sarebbe un grosso successo per la sinistra.
Con quali conseguenze politiche sugli schieramenti?
Io penso che il voto regionale sia solo solo parzialmente politico e che ci sia da parte degli elettori un minimo di attenzione ai problemi della Regione: c’è una necessità di leggere i risultati con una lettura politica nazionale, ma i risultati sono generati all’interno di ciascuna Regione anche sulla base di questioni locali. Il governo Meloni è longevo, di qualità mediamente bassa tranne nella persona della presidente del Consiglio che è persona molto abile. Il che non vuol dire che faccia una politica spettacolare. Anzi, direi che l’obiettivo di Meloni è molto più durare che fare una grande politica. Certamente è incappata in un contesto internazionale in cui tutti gli Stati europei di una certa consistenza, come l’Italia, stanno facendo figuracce su figuracce, per cui non le si può imputare specificamente una palese inadeguatezza nell’avere un minimo di voce internazionale.
Cosa sta funzionando nella guida Meloni?
È diventata una presenza abbastanza rassicurante per gli italiani. Questo è quello a cui lei dopotutto teneva: è diventata una presenza di garanzia. È come se si pensasse che se c’è Meloni non ci sono salti nel buio, un po’ come una Democrazia cristiana molto conservatrice dei tempi molto andati. Quindi Meloni affronta le regionali senza dipendere direttamente dai risultati. Ma certamente ha problemi nella coalizione perché non va d’accordo con Salvini, anche se ha tutta la capacità di metterlo in un angolo. E poi per rassicurare Forza Italia deve portare a casa la riforma della magistratura. Questo è un problema, perché incattivisce la magistratura e poi perché porterà al referendum: e sul referendum non è detto che la destra vinca, e non è detto che resista a una sconfitta.