Evolvono di ora in ora le prospettive del vertice di Ferragosto fra Trump e Putin. Dalla videochiamata fra il presidente Usa e i leader europei è emersa una forte unità di vedute nel ribadire che una pace giusta e duratura non può prescindere da un cessate il fuoco, dal continuo sostegno all’Ucraina, dal mantenimento della pressione collettiva sulla Russia e da solide e credibili garanzie di sicurezza ancorate al contesto euroatlantico. L’analisi di Gianfranco D’Anna
Come la vigilia di una finale di calcio che trasforma tutti in allenatori, la sindrome di Anchorage trasfigura i media in oracoli di strategie politico militari.
Pianificazioni, valutazioni delle alternative sotto il profilo tattico, storico e statistico, che finora non hanno tuttavia considerato il vertice come una seduta psicoanalitica di fatto fra due personalità forti come quelle di Donald Trump e Vladimir Putin che tendono ad assumere entrambi il ruolo di terapeuta dell’altro. Una sfida esistenziale fra due personaggi convinti di avere il monopolio dell’intelligenza.
È una inedita lettura trasversale che evidenzia la reciproca riserva mentale sullo scopo del summit e sugli obiettivi contrapposti.
Putin ha accreditato l’immagine propagandistica del leader che non fa mai un passo indietro, che ha imposto le sue condizioni all’interlocutore e da una situazione di vantaggio lo ha indotto ad incontrarlo per trattare.
Altrettanto tracotante, ma alla lunga probabilmente più astuto, Trump punta invece a fare scoprire le carte al Presidente russo e ad addossargli tutta la responsabilità dell’eventuale fallimento della trattativa di pace e della prosecuzione della guerra. Prosecuzione bellica che al cospetto dei suoi turbolenti elettori del movimento Maga gli imporrà di sostenere militarmente l’Ucraina.
Dietro l’assenza di Zelensky e l’apparente marginalizzazione dei leader europei, che infatti nella videoconferenza con Trump chiedono all’unisono e ottengono dal presidente Usa la solenne dichiarazione che “le questioni territoriali che riguardano l’Ucraina non possono e non saranno negoziate se non dal presidente ucraino”, potrebbe esserci in realtà una trappola tesa a Putin per sovraesporlo due volte al Cremlino.
Con gli oltranzisti guerrafondai post sovietici che non gli perdonerebbero né la tregua, né a maggior ragione la pace, e con gli oligarchi esclusivamente attenti ai propri interessi e terrorizzati per la disastrosa deriva economica della Russia.
Una trappola a doppia mandata che scatterà al momento dell’arrivo di Putin alla base strategica congiunta dell’aeronautica e dell’esercito Usa di Elmendorf-Richardson, alla periferia nord di Anchorage.
Un arrivo che Trump chiederà venga preceduto dall’interruzione dei bombardamenti e degli attacchi da entrambi i fronti.
In pratica da parte dei russi, che proprio alla vigilia del vertice stanno tentando di accerchiare Pokrovsk, nell’oblast di Donetsk, costringendo le autorità ucraine ad ordinare l’evacuazione delle famiglie che abitano in diversi villaggi e fattorie della zona.
Se Putin tergiversa, Trump alzerà il tiro e insisterà sull’apertura di negoziati per raggiungere un confronto diretto fra Mosca e Kyïv, per un nebuloso e sostanzialmente impraticabile scambio territoriale. Che è come trattare l’acquisto dei gioielli di famiglia con il ladro che ti ha scassinato la casa.
Sembra una concessione a Mosca, invece è l’escamotage per ottenere una tregua.
A questo punto, se Putin non farà altro che rispondere a ripetizione absolyutno niet, assolutamente no, il tycoon lo accuserà a reti unificate planetarie di non volere la pace e di avere mostrato il vero volto dell’imperialismo russo che dopo l’Ucraina punterà all’invasione dell’Europa, cominciando dai Paesi baltici e dalla Polonia.
Il tutto incentrato sull’autoglorificazione che comunque lui, Donald Trump, ha tentato di tutto per ristabilire la pace e che l’unico modo di ottenerla a questo punto é quello di sostenere ad oltranza Kyïv fino a provocare il ritiro dell’armata russa.
L’approccio psicoanalitico del vertice è comunque verosimilmente ottimista. Gli analisti soprattutto quelli europei e americani ondeggiano fra lo scetticismo e il pessimismo.
Putin “vuole un accordo con Trump che venga presentato a Kyiv e ad altre capitali europee come un fatto compiuto”, ha dichiarato al quotidiano inglese The Guardian, John Herbst, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina e direttore senior del think tank con sede a Washington Eurasia Center dell’Atlantic Council.
Trump si presenterà al faccia a faccia con Putin senza avere al suo fianco specialisti esperti di Russia e Ucraina. “È così che fa Trump. Improvvisa tutto”, ammettono a mezza bocca i funzionari della Casa Bianca.
Un’improvvisazione che spiazza gli interlocutori esteri, tanto che secondo The Guardian il Presidente cinese Xi Jinping ha preferito una preparazione più approfondita prima di confrontarsi con Trump, proprio per ridurre al minimo gli effetti della sua imprevedibilità.
Per The Guardian “ciò non ha impedito a Putin di tentare la fortuna salendo sul ring con Trump per il loro primo incontro individuale di questa amministrazione.” Il che è indicativo dell’urgenza del presidente russo di parlare a porte chiuse con Trump, nel tentativo di abbindolarlo con la promessa di mollare la Cina e di spartirsi assieme le sfere di influenza mondiali.
Avvertendo le perplessità dell’intelligence community e del contesto internazionale, la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt si è affrettata a precisare che “il vertice è un esercizio di ascolto per il Presidente. Solo una delle parti coinvolte in questa guerra sarà presente, quindi spetta al Presidente acquisire una comprensione più solida e migliore di come possiamo sperare di mettere fine a questa guerra” puntualizzazione, sottolinea la Cnn, che apparentemente minimizza le aspettative di un accordo quadro.
Dubbi e perplessità affiorano anche sul versante russo, come dimostra la telefonata preparatoria del ministro degli Esteri Sergei Lavrov al Segretario di Stato americano Marco Rubio, conclusa con la dichiarazione che entrambe le parti “confermano l’impegno a garantire il successo dell’evento”.
A Mosca mentre i media sono cautamente ottimisti, permane un diffuso scetticismo. Il settimanale britannico The Economist riporta che Vladimir Solovyov, uno dei propagandisti di Putin, sostiene che il vertice non porrà fine alla guerra.
Molto più caustici i blogger nazionalisti, “sembra una presa in giro sofisticata: un incontro in territorio nemico, che, peraltro, un tempo apparteneva a noi”, ha scritto un utente su Regnum, un canale Telegram.
Caricato da aspettative propagandistiche, l’Anchorage Summit rischia di trasformarsi per Putin in un boomerang.
Un ulteriore fallimento che prima o poi, nonostante la spietata repressione del regime, determinerà il disinganno e la presa di coscienza del popolo russo.
Come per i poliziotti, metaforicamente, anche per i vigili del fuoco impegnati nelle trattative vale infatti la consuetudine del pompiere cattivo e di quello buono, o più furbo, come Donald Trump.