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Vaccini, ricerca, investimenti: gli Stati Uniti cambiano postura. L’Europa ha un piano?

Il dipartimento della Salute statunitense ha annunciato la cancellazione di 22 contratti per lo sviluppo di vaccini mRna. Una scelta che riapre il dibattito sulle politiche scientifiche globali e che l’Europa dovrebbe guardare con attenzione. Sullo sfondo l’occasione – e la responsabilità – del Vecchio continente di rilanciare il proprio approccio nei confronti della ricerca, rafforzando la propria autonomia scientifica e la competitività dell’Unione

Il dipartimento della Salute statunitense ha annunciato martedì la cancellazione di 22 contratti federali relativi allo sviluppo di vaccini basati su Rna messaggero, per un valore complessivo di circa 500 milioni di dollari. La decisione, resa nota dal segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr., coinvolge sia progetti in corso che proposte in fase pre-contrattuale da parte di aziende come Pfizer, Sanofi Pasteur, CSL Seqirus e Gritstone. Tra i contratti annullati figura anche quello con Moderna per lo sviluppo avanzato di un vaccino contro l’influenza aviaria, già preannunciato lo scorso maggio.

LE PAROLE DI KENNEDY

Secondo quanto dichiarato da Kennedy, il governo ha deciso di rivedere gli investimenti avviati durante l’emergenza Covid attraverso la Biomedical advanced research and development authority (Barda) – l’agenzia che finanzia lo sviluppo di contromisure mediche per minacce alla salute pubblica. “Abbiamo esaminato la scienza, ascoltato gli esperti e agito. Barda porrà fine a 22 investimenti su vaccini mRna perché i dati mostrano che questi vaccini non proteggono efficacemente contro infezioni respiratorie superiori come Covid e influenza”, ha detto Kennedy. Il segretario ha inoltre dichiarato che il governo intende spostare i fondi “verso piattaforme vaccinali più sicure e ampie, che restano efficaci anche quando i virus mutano”. Alcuni contratti in fase avanzata verranno completati per “preservare l’investimento già effettuato dai contribuenti”.

La decisione è stata accolta con preoccupazione da parte di diversi esperti di sanità pubblica e preparazione pandemica. Rick Bright, ex direttore di Barda, parlando a Stat ha definito la scelta “una vulnerabilità auto-inflitta”, affermando che potrebbe ritardare la disponibilità di vaccini negli Stati Uniti rispetto ad altri Paesi in caso di una nuova pandemia. I vaccini a mRna, sviluppati in tempi record durante l’emergenza Covid anche grazie al programma federale Operation warp speed, voluto su impulso del presidente Donald Trump – allora al termine del suo primo mandato – sono stati considerati uno strumento chiave nella risposta sanitaria alla pandemia. La tecnologia mRna, oltre all’ambito infettivologico, è oggi al centro di ricerche oncologiche, ad esempio su vaccini personalizzati contro i tumori solidi.

RILANCIARE LA SCIENZA IN EUROPA

Un sondaggio pubblicato da Nature a marzo ha rilevato che il 75% degli scienziati americani intervistati ha considerato di lasciare il Paese per fare ricerca altrove. Per l’Europa, questa potrebbe essere un’opportunità concreta, e per questa ragione si sono moltiplicate le iniziative sotto la bandiera “Choose Europe for science”, nei mesi scorsi. Mentre gli Stati Uniti rivedono le priorità della loro politica scientifica e sanitaria, l’Europa però si trova davanti a una sfida più ampia, ossia, costruire le condizioni per trattenere — e attrarre — talenti, investimenti e innovazione. Ma non basta attendere che le conseguenze delle scelte altrui aprano spazi. Serve un progetto. Secondo una valutazione della Commissione europea pubblicata ad aprile, ogni euro investito all’interno del programma Horizon Europe genererebbe fino a sei euro di benefici per la società europea e fino a undici euro di crescita del Pil entro il 2045.

L’Accademia dei Lincei ha recentemente rilanciato la proposta di un programma ventennale europeo per la ricerca pubblica, con l’obiettivo di colmare il divario interno tra Stati membri e di portare tutti i Paesi dell’Unione a un livello minimo comune di investimento. Secondo il loro documento, oggi la media Ue per la spesa pubblica in ricerca si attesta intorno allo 0,75% del Pil, ma con forti squilibri tra Paesi: dall’1% di Germania ed Estonia allo 0,17% di Irlanda e Romania. Una disparità che, secondo i promotori, compromette la capacità del continente di crescere in modo equo e competitivo. Una strategia strutturale di lungo periodo appare dunque necessaria, anche per rispondere alle trasformazioni globali in atto. Dalla competizione tecnologica tra Stati Uniti e Cina, alla necessità di una maggiore autonomia scientifica, fino al rafforzamento della coesione interna. Investire in laboratori, università, ricerca e innovazione significa dotarsi degli strumenti per affrontare le sfide future con mezzi propri, rafforzare il capitale umano europeo e costruire le basi per un rilancio del Vecchio continente.


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