Con la crisi tra Washington e Nuova Delhi, un accordo di libero scambio tra Unione europea e India non sarebbe solo commercio. Sarebbe un gesto di posizionamento nell’ordine multipolare: un’alleanza flessibile, fondata non sull’allineamento ma sul riconoscimento reciproco. È forse questo il messaggio implicito dello statement, che affianca l’Ue agli Stati Uniti per segnare i confini — e le condizioni — di una futura intesa strategica
La tensione tra Washington e Nuova Delhi ha fatto un salto di livello ieri, lunedì 4 agosto, quando il presidente Donald Trump ha annunciato un aumento “sostanziale” dei dazi verso l’India, accusandola non solo di acquistare “enormi quantità” di petrolio russo, ma di rivenderlo sul mercato per trarne profitti. “Non si curano delle persone uccise in Ucraina dalla macchina da guerra russa”, ha scritto Trump in un post. “Per questo, aumenterò sensibilmente il dazio pagato dall’India agli Stati Uniti.”
Poche ore dopo, la risposta indiana è arrivata con un comunicato ufficiale del ministero degli Esteri, che respinge le accuse e denuncia “doppi standard” da parte dell’Occidente. Nuova Delhi rivendica una politica energetica coerente con le proprie necessità interne e sottolinea come Stati Uniti ed Europa mantengano relazioni commerciali con Mosca anche in settori non vitali (come prodotti medicali, alcuni fertilizzanti e polimeri, beni di lusso, uranio e metalli rari). I toni, insolitamente netti, sono il segnale che qualcosa si è incrinato.
In sei mesi, la relazione personale tra Donald Trump e Narendra Modi, il potentissimo primo ministro indiano che sta segnando storicamente il corso del Paese, è passata da risorsa simbolica a fattore di instabilità. Dopo averlo definito “un grande amico” in un incontro alla Casa Bianca, Trump ha etichettato l’India come “un’economia morta” e l’ha accomunata alla Russia, partner strategico storico di Nuova Delhi. Il confronto non si esaurisce nella disputa commerciale. Tocca il nodo più delicato del rapporto tra autonomia strategica e convergenza geopolitica.
Durante la Guerra Fredda, i rapporti Usa–India furono segnati da freddezza e diffidenza, mentre l’India coltivava legami profondi con Mosca. Negli ultimi vent’anni, però, la cooperazione tra Washington e Nuova Delhi ha resistito ai cambi di leadership. L’approccio tecnico e multilaterale scelto da tutte le ultime amministrazioni statunitensi ha portato alla designazione dell’India tra i principali partner militari, mettendo un focus chiaro sulla competizione totale con la Cina e sull’high tech.
L’India, intanto, è diventata la quinta economia del mondo — a dispetto delle valutazioni di Trump — ma è anche il secondo importatore al mondo di petrolio russo, dopo la Cina. La dipendenza energetica da Mosca — stimata attorno al 35-40% del fabbisogno indiano — è aumentata dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina, perché Nuova Delhi ha sfruttato le scontistiche proposte da Mosca per prioritarizzare la propria sicurezza energetica, parte fondamentale del proprio interesse nazionale. E se da un lato l’India ha cercato una diversificazione (rafforzando accordi con Francia, Israele o Italia, e anche con gli Usa), dall’altro non ha mai interrotto il legame con il fornitore tradizionale — non solo di energia, ma anche di apparecchiature militari.
Le attuali pressioni americane non sono destinate a cambiare l’impostazione di fondo, però hanno già spinto alcune raffinerie pubbliche a sospendere temporaneamente gli acquisti russi. La principale, Indian Oil Corporation, ha appena concluso contratti per 7 milioni di barili provenienti da Usa, Canada e Golfo. Il segnale è tattico, non strategico. La linea resta quella del “multi-alignment”, il non allineamento aggiornato alla realtà multipolare.
Le frizioni odierne nascono anche da tensioni strutturali sul piano commerciale. Nel 2024, il deficit commerciale USA–India ha superato i 45 miliardi di dollari, trainato dalle importazioni di smartphone e dispositivi elettronici. Trump attacca da tempo i dazi agricoli indiani, fra i più alti al mondo, e pretende aperture su grano e latticini, a cui Nuova Delhi si oppone. Il nuovo pacchetto tariffario colpisce in modo selettivo, ma lascia intendere che presto anche l’elettronica – compresi i prodotti Apple fabbricati in India – possa finire nel mirino. “Ho trattato bene Tim Cook”, ha detto Trump, “ma ora scopro che state costruendo ovunque in India. Non voglio che costruiate in India”. È una dichiarazione che vale più di un dazio.
A complicare ulteriormente il quadro c’è l’avvicinamento parallelo tra Stati Uniti e Pakistan. Dopo un incontro privato tra Trump e il capo dell’esercito Asim Munir, Islamabad ha proposto la candidatura del presidente americano al Nobel per la Pace, per aver “impedito una guerra nucleare” con l’India — ruolo più volte smentito dal governo indiano. Il gesto ha avuto un forte impatto simbolico, soprattutto dopo l’operazione Sindoor – un’azione oltreconfine indiana contro campi terroristici – che ha segnato un cambiamento nella dottrina di sicurezza del paese. La percezione, a New Delhi, è che Washington possa tornare a considerare Islamabad un partner utile, seppur transazionale. La visita del comandante di CentCom in Pakistan rafforza questa simbologia.
Eppure l’India non cambierà rotta facilmente. Ha costruito nel tempo una sofisticata autonomia strategica, che le consente di sedere contemporaneamente al tavolo del Quad e dei Brics, della Sco e del G20. Negozia un accordo di libero scambio con l’Unione Europea mentre parla con Russia, Israele e Paesi arabi. Questa architettura è sotto pressione, ma resta il perno della politica estera indiana.
Proprio qui si apre uno spazio per l’Europa. I negoziati tra Bruxelles e Nuova Delhi per un accordo commerciale sono iniziati nel 2007, sospesi nel 2013, rilanciati nel 2022 e ora sono in “una fase positiva”, come dicono fonti diplomatiche indiane. “Ma restano complessi”, aggiungono omologhi europei. Eppure il contesto potrebbe favorire una svolta. L’India ha bisogno di mercati alternativi e prevedibili. L’Ue, di partner affidabili tra le grandi potenze in evoluzione. L’incrocio di interessi potrebbe estendersi anche alla cooperazione nel Sud Globale, dove l’India si propone come attore di riferimento.
Ed è anche in nome di quel ruolo che Nuova Delhi rifiuta logiche coercitive, percepite come sempre più distanti dalle sensibilità di quel mondo. Entrambe inoltre vogliono liberare le loro supply chain dalla dipendenze cinesi. E oggi più di ieri, hanno interesse a farlo insieme. La rotta è in parte tracciata dall’Imec, la “rete di connettività” su cui “conversazioni concrete” sono in corso. Tra queste, quelle che in questi giorni sta conducendo l’inviato speciale italiano per il progetto, l’ambasciatore Francesco Maria Talò, impegnato in una missione a Nuova Delhi per spingere “gli interessi comuni” condivisi nella regione dell’Indo-Mediterraneo tra India e Italia (e dunque anche Ue, perché lo stesso Talò parlava con Formiche.net del framework operativo del Team Europe). Condivisione che passa innanzitutto dallo sviluppo congiunto di una “Blue Economy” integrata, abbinata alla sicurezza marittima dell’IndoMed.