Il Dragone, padrone del grosso delle terre rare sparse per il globo, deve continuare a garantire le sue forniture alle aziende statunitensi, nell’attesa che Washington si sganci dagli approvvigionamenti del Dragone. Altrimenti ci sarà una nuova raffica di dazi
La sensazione è che si sia trattato del classico aut aut. Anzi, è più di una sensazione, è certezza. Il mondo interno, inclusi gli Stati Uniti, sa bene che la quasi totalità delle terre rare sparse per il globo è in mano alla Cina. Il che fa del Dragone una specie di distributore globale di minerali critici, senza i quali ogni industria tecnologica degna di questo nome perde inevitabilmente slancio e competitività. Washington, che non può certo permettersi di rimanere legata mani e piedi a Pechino, da tempo sta cercando altre strade per assicurarsi le forniture di minerali da Paesi terzi. Le recenti triangolazioni con Brasile e Canada sono lì a dimostrarlo.
Nelle more, tuttavia, parte della manifattura americana dipende ancora dalla Cina. Senza le forniture da Oriente per gli Stati Uniti sono problemi. Ed è proprio per questo che il presidente Donald Trump ha richiamato la Repubblica Popolare ai suoi doveri, sotto forma di rapporti commerciali che prevedono e impongono alla Cina la vendita di minerali alla prima economia mondiale. Pechino, deve in sostanza continuare a garantire la fornitura agli Stati Uniti di magneti. Altrimenti? Trump ha utilizzato ancora una volta l’arma dei dazi (Cina e Usa hanno sottoscritto una nuova tregua commerciale, che terminerà a novembre). Se Pechino non garantirà le forniture sarà soggetta a dazi del 200%.
“Devono darci i magneti”, altrimenti “dobbiamo imporre loro un dazio del 200% o qualcosa del genere”, ha detto Trump ai giornalisti durante l’incontro con il presidente sudcoreano Lee Jae-myung alla Casa Bianca. Il presidente americano è però conscio delle possibili ripercussioni di un colpo di mano sui dazi. Il quale comporterebbe quasi certamente la rottura dei rapporti commerciali bilaterali: “Abbiamo uno strumento molto più potente, che sono i dazi. Ma se volessimo imporre tariffe del 100%, del 200%, non avremmo più alcun commercio con la Cina”.
Trump ha comunque confermato la sua intenzione di visitare la Cina, affermando di aver parlato “abbastanza recentemente” con il presidente cinese Xi Jinping e che “a un certo punto, probabilmente quest’anno o subito dopo, andremo in Cina”. Il messaggio è però chiaro: l’economia globale dipende da quella americana e indebolire quest’ultima vuol dire farsi del male con le proprie mani. Dunque, guai a compromettere la tenuta e la competitività dell’industria tecnologica Usa. Non a caso Trump imporrà ulteriori dazi commerciali ai Paesi che introducono “tasse digitali, leggi, regole o regolamenti” ritenuti concepiti per limitare le aziende tecnologiche statunitensi, a meno che tali misure non vengano ritirate.
“Come presidente degli Stati Uniti, mi opporrò ai Paesi che attaccano le nostre straordinarie aziende tecnologiche americane. Le tasse digitali, la legislazione sui servizi digitali e i regolamenti sui mercati digitali sono tutti concepiti per danneggiare o discriminare la tecnologia americana. Con questa dichiarazione avverto tutti i Paesi che adottano tasse, leggi, regole o regolamenti digitali che, se queste azioni discriminatorie non verranno rimosse, io, come presidente degli Stati Uniti, imporrò sostanziali ulteriori dazi sulle esportazioni di quel Paese verso gli Stati Uniti e introdurrò restrizioni all’export della nostra tecnologia e dei nostri chip altamente protetti”.