Dall’uscita di Putin dall’isolamento internazionale ai rischi per il coordinamento tra Kyiv e i partner occidentali, fino alla capacità europea di influenzare il negoziato: cinque analisti dell’Ecfr delineano scenari e poste in palio del vertice
Gli analisti dell’European Council on Foreign Relations hanno messo a fuoco i possibili esiti del vertice tra il presidente statunitense Donald Trump e l’omologo russo Vladimir Putin, in programma in Alaska domani. Le valutazioni inviate a Formiche.net toccano quattro aspetti centrali: il significato politico dell’incontro per il Cremlino, le implicazioni strategiche per l’Ucraina e i suoi partner, il cessate il fuoco come carta negoziale, la capacità europea di influenzare il processo diplomatico e il ruolo che Trump potrebbe assumere nella trattativa.
Fine dell’isolamento di Putin
Jana Kobzova, co-direttrice dell’European Security Programme e senior policy fellow del think tank paneuropeo, evidenzia che “il vertice in Alaska significa di fatto la fine dell’isolamento internazionale di Putin: nessun leader occidentale di primo piano lo ha incontrato dall’inizio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia”. Putin discuterà di Ucraina e sicurezza europea “senza che né gli ucraini né gli europei siano presenti, e il più lontano possibile dal continente europeo”, aggiunge.
Per Kobzova, “l’esito più favorevole per la Russia sarebbe la ‘neutralizzazione’ degli Stati Uniti riguardo all’Ucraina — cioè una minore partecipazione Usa negli sforzi per porre fine alla guerra e, soprattutto, la cessazione degli aiuti militari a Kyiv”. In sintesi, per l’analista il vertice offre a Putin un’occasione di alto profilo senza concedere nulla sul piano militare, permettendogli di negoziare da una posizione di forza e di promuovere aperture economiche e discussioni sul controllo degli armamenti.
Il rischio di un summit senza strategia
“È molto improbabile che il vertice in Alaska porti a una decisione per porre fine alla guerra, a un cessate il fuoco o a qualsiasi altra decisione concreta”, valuta Leo Litra, visiting fellow del programma Wider Europe e senior fellow del New Europe Center di Kyiv. D’altronde è stato lo stesso Trump, ieri, parlando al Kennedy Center, a minacciare “severe conseguenze” se Putin non accetterà un cessate il fuoco — commenti che seguono un’iniziale linea più controllata sull’esito dell’incontro.
Litra osserva che l’incontro “serve più agli interessi di Putin che a quelli di chiunque altro”, poiché ne attenua l’isolamento e infrange il principio condiviso da Ue e Usa secondo cui ogni negoziato deve iniziare con un cessate il fuoco. “Partecipare a un vertice Usa–Russia senza una strategia chiara su ciò che si vuole ottenere potrebbe danneggiare il coordinamento dell’Ucraina con i suoi partner”. Per il ricercatore, un vertice bilaterale di questo tipo rischia di creare fratture tra Stati Uniti ed Europa e di mettere Kyiv nella posizione di dover rifiutare proposte inaccettabili, con il rischio di essere percepita come ostacolo alla pace.
Il cessate il fuoco come carta negoziale
Per l’altra Lesia Ogryzko, anche lei visiting fellow oltre che guida del think tank ucraino Sahaidachnyi Security Center e board member dell’organizzazione di esperti per la ricostruzione Rise Ukraine, la pace o anche solo un cessate il fuoco in Ucraina rimangono una prospettiva lontana: “Questa guerra non può essere risolta al tavolo dei negoziati, solo sul campo di battaglia”. Ogryzko evidenzia che il cessate il fuoco è “una delle carte negoziali più importanti” di Mosca, e Putin considera prematuro concederlo perché significherebbe rinunciare a un vantaggio senza ottenere contropartite.
“La sua formula ‘prima i negoziati, poi forse un cessate il fuoco’ riflette l’obiettivo di mantenere il controllo e stabilire i termini di qualsiasi processo diplomatico”. L’analista avverte che le condizioni per porre fine alla guerra devono essere accettate dalla società ucraina e che nessun leader può legalmente cedere territorio senza un referendum. L’Europa, conclude, deve assicurarsi un posto al tavolo negoziale accanto agli Stati Uniti e dimostrare coesione con Kyiv, anche impegnandosi a un sostegno militare di lungo periodo.
L’Europa costretta a reagire
Il policy fellow Rafael Loss fa notare che gli europei sono diventati piuttosto bravi a organizzare rapidamente una call di coordinamento con i colleghi in Ucraina, nell’Ue e al quartier generale della Nato, come quella di ieri, “anche durante le vacanze estive”. Ma il problema è che “restano intrappolati in uno schema in cui devono reagire alle mosse di Trump, anziché modellare loro stessi il corso degli sforzi diplomatici”.
“I leader europei e ucraini dovrebbero presentare all’amministrazione Trump una posizione comune prima del vertice in Alaska”. La dipendenza europea dalle garanzie di sicurezza Usa invita a un’iniziativa congiunta che valorizzi i successi di Trump in ambito Nato e commerciale, ma che al contempo prepari l’Ue a resistere a eventuali spinte verso una normalizzazione con la Russia non accompagnata da garanzie concrete.
Il ruolo e le mosse di Trump
“Trump ha basato la sua presidenza su un’attività costante come dimostrazione di forza, quindi ha bisogno dell’incontro, di un titolo sui giornali e della promessa di ulteriori iniziative”, analizza Jim O’Brien, distinguished visiting fellow dell’Ecfr. O’Brien avverte che Trump “potrebbe anche concordare qualcosa di favorevole alla Russia solo per vedere cosa può ottenere da Europa e Ucraina per cambiare rotta nelle settimane successive”.
“Possiamo aspettarci annunci sull’Ucraina, magari principi per un cessate il fuoco, ma nessun piano reale”. L’ex diplomatico dell’amministrazione Biden (in cui è stato Assistant Secretary per gli Affari europei ed eurasiatici), rileva che i leader europei si stanno muovendo rapidamente per evitare concessioni a Putin, e suggerisce di chiarire fin da subito che non vi sarà una riapertura dei mercati europei al gas russo, tema di interesse sia per il Cremlino sia per alcuni ambienti vicini a Trump.