La presenza di Unifil ha finora evitato un vuoto di sicurezza, ma la capacità dello Stato di assumere pienamente il controllo è ancora limitata. La responsabilità principale di questa fragilità ricade su Hezbollah, che ostacola il rafforzamento delle istituzioni statali e mantiene un arsenale autonomo
Due giorni fa sono rientrati in Italia il reggimento “Genova Cavalleria” e il reggimento logistico “Pozzuolo del Friuli”, dopo sei mesi di missione nel Sud del Libano. La rotazione coincide con un momento decisivo: al Consiglio di Sicurezza dell’Onu è in corso la trattativa sul rinnovo del mandato Unifil, che scadrà il 31 agosto. La decisione influenzerà la fragile stabilità del Libano e il peso internazionale dell’Italia.
Roma non è spettatrice passiva. Il generale Diodato Abagnara guida la missione, mentre circa 1.000 soldati italiani – secondo contingente per dimensioni dopo quello indonesiano – operano lungo la Blue Line. Unifil è una delle missioni più visibili per Roma, pilastro della sua credibilità nel peacekeeping e strumento di presenza nel Mediterraneo-Allargato. Una possibile chiusura della missione, auspicata da Stati Uniti e Israele, rischierebbe di indebolire sia la stabilità libanese, intaccando parte della strategia italiana nella regione.
Le mosse diplomatiche
Il presidente libanese, Joseph Aoun, e il generale Abagnara, in un incontro avvenuto a Beirut la scorsa settimana, hanno ribadito che la missione resta essenziale per l’attuazione della risoluzione 1701 e per evitare un vuoto di sicurezza. A New York, la Francia ha presentato in questi giorni una bozza per un rinnovo di un anno, ma Washington chiede condizioni più stringenti. Secondo indiscrezioni, Stati Uniti e Israele non puntano a un rinnovo pieno della missione: Tel Aviv non ha esercitato pressioni per prolungarla, accettando la linea di Washington che guarda a una possibile chiusura graduale nell’ottica di un disingaggio generale dalle problematiche della regione.
Roma nel frattempo si muove sul piano politico-diplomatico. La presidente del Cinsiglio Giorgia Meloni ha discusso di Unifil con António Guterres a margine del G7 in Canada; il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha affrontato la questione a luglio, durante la sua visita a Washington, con il segretario di Stato Marco Rubio, sottolineando la necessità di rafforzare la presenza Onu in Libano.
Il nodo Hezbollah
La novità più significativa arriva da Beirut. Due settimane fa il governo libanese ha adottato una decisione senza precedenti: ordinare alle forze armate di preparare un piano per il disarmo di tutte le milizie non statali, a partire dalla potentissima Hezbollah. Una scelta maturata sotto forte pressione americana, con l’obiettivo di arrivare a un monopolio statale delle armi entro la fine del 2025. Hezbollah – attore che ha espanso il suo controllo sul Libano fino a diventare “uno stato nello stato” – ha già respinto l’iniziativa, avvertendo che “non ci sarà vita in Libano” se il governo tenterà di imporla.
L’amministrazione Trump ha intanto chiesto a Israele di ridurre le operazioni militari “non urgenti” in Libano, per dare spazio e credibilità all’iniziativa del governo. Nonostante il cessate il fuoco dello scorso novembre, Israele continua infatti quasi quotidianamente a condurre raid aerei sul territorio libanese, giustificati come risposta a violazioni di Hezbollah. Beirut li considera invece violazioni della propria sovranità. Israele mantiene inoltre cinque avamposti nel Sud del Libano, che intende abbandonare solo quando Hezbollah non costituirà più una minaccia. Washington propone un approccio graduale: sospensione dei raid per alcune settimane, ritiro progressivo da uno degli avamposti e, in prospettiva, un piano di sviluppo economico con fondi sauditi e qatarini in una “Trump economic zone” da creare al confine, per ostacolare il radicamento militare di Hezbollah.
Gli equilibri regionali
Il futuro di Unifil si intreccia così con un doppio processo: da un lato la pressione internazionale su Beirut perché assuma il controllo esclusivo della sicurezza (frutto anche di un approccio strategico americano verso la regione mediorientale e mediterranea); dall’altro la necessità di convincere Israele a ridurre la propria proiezione militare. Mercoledì, a Parigi, il ministro israeliano Ron Dermer, figura a cui il governo Netanyahu ha affidato la gestione dei dossier strategici, ha discusso a lungo con l’inviato americano Tom Barrack e con la diplomatica Morgan Ortagus. Fonti diplomatiche parlano di progressi, senza però decisioni definitive.
Il 2 agosto la brigata alpina “Taurinense” ha assunto il comando del Sector West, subentrando alla brigata “Pozzuoli del Friuli” e proseguendo le attività della Missione Bilaterale per il Libano (MIBIL) e del Military Technical Commitee for Lebanon (MTC4L). Per Roma il rinnovo di Unifil non è un fatto tecnico, ma una partita strategica che riguarda credibilità internazionale e influenza politica. Il punto centrale resta se il Libano sia davvero pronto a questo passaggio e come supportarlo (anche con iniziative italiane) se Unifil verrà meno.