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A che punto è il piano Draghi. Il punto di Deutsche Bank

A un anno esatto dalla sua presentazione, solo poco più dell’11% delle raccomandazioni dell’ex presidente della Bce pensate per tenere testa a Cina e Usa si sono tradotte nella pratica. E così, nel giorno del discorso sullo stato dell’Unione di Ursula von der Leyen, l’Europa si scopre ancora una volta fragile e pigra

Niente da fare, l’Europa è ancora nel pantano. Nel giorno dell’atteso discorso sullo stato dell’Unione di Ursula von der Leyen, tutto proteso a costruire un’Europa indipendente, competitiva e autosufficiente dal punto di vista energetico, una delle più importanti e prestigiose istituzioni finanziarie del mondo, riporta tutti con i piedi per terra. Ad oggi il Vecchio continente non sembra aver ancora ingranato la marcia giusta, tanto che dell’ormai mitologico rapporto Draghi, presentato esattamente un anno fa, il 9 settembre e sorta di vademecum della competitività e della crescita, per giunta commissionato da Bruxelles e il cui fulcro sono 800 miliardi di investimenti, è stato messo a terra poco o niente. E pensare che giusto due settimane fa, nel corso del suo intervento al Meeting di Rimini, Mario Draghi era tornato a sferzare l’Europa, rea di essere rimasta una bella addormentata.

“Il 2025 passerà alla storia come l’anno in cui è definitivamente evaporata l’illusione che la dimensione economica dell’Unione possa tradursi automaticamente in potere geopolitico, aveva esordito l’ex presidente della Bce, descrivendo un continente costretto a subire i dazi del suo principale alleato, spinto ad aumentare le spese militari secondo priorità altrui e marginalizzato nei principali tavoli negoziali, dall’Ucraina al Medio Oriente. Ma quello di Draghi non era stato solo un requiem in memoria di ciò che non è stato. L’ex premier aveva infatti posto fortemente l’accento sul futuro: l’Europa, dice, deve abbandonare il ruolo di spettatore per diventare attore protagonista in un mondo dove controllo tecnologico e sovranità politica sono ormai inscindibili.

Va bene, ma ecco il problema è l’inerzia della stessa Unione. A mettere il dito nella piaga ci ha pensato un report di Deutsche Bank il quale inchioda Bruxelles alle proprie responsabilità. A oggi l’Unione ha realizzato solo una frazione del piano Draghi. Sì, il settore della Difesa, complice la spinta tedesca, è in forte espansione, ma l’Europa è ancora molto indietro per quanto riguarda l’Intelligenza Artificiale, il cloud e la crescita delle startup. Insomma, il grande piano di rilancio dell’Europa per colmare il divario di innovazione con Stati Uniti e Cina stenta a decollare.

Tradotto, a un anno dalla sua stesura, solo l’11,2% della visione di Draghi è stata implementata, secondo la banca di Francoforte. “I progressi complessivi sono contrastanti: nessuna svolta decisiva, ma alcune riforme sostanziali”, ha riassunto Deutsche Bank. Si salva, come detto, solo la Difesa, con l’Ue che ha agito più rapidamente su questo versante, con la Germania che ha aumentato la spesa da 74 miliardi di euro, circa 87 miliardi di dollari, nel 2024 a circa 128 miliardi di dollari l’anno prossimo. Bruxelles sta inoltre lanciando un piano di prestiti da 176 miliardi di dollari per gli Stati membri, al fine di incrementare la produzione di armi.

C’è un problema a monte del temporaneo flop: i soldi. L’Europa continua a non disporre di finanziamenti per l’espansione, di infrastrutture cloud e dati e di una commercializzazione dei brevetti, il che la lascia molto indietro rispetto alla Silicon Valley e all’ecosistema tecnologico cinese, è la sintesi del rapporto. Già, proprio quegli 800 miliardi che servirebbero come il pane. E poi l’Italia: che avrebbe bisogno di investire 80-100 miliardi di euro annui per 5-10 anni per raggiungere gli obiettivi di crescita, competitività e sostenibilità indicati dall’ex presidente del consiglio e della Banca centrale europea.


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