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A Gaza la Riviera e la Cisgiordania sono ancora il problema. Il punto con Dentice dopo 23 mesi di guerra

Oggi, a 23 mesi dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, il negoziato sugli ostaggi a Gaza si intreccia con le prospettive di annessione in Cisgiordania. Come avverte Giuseppe Dentice, dell’Osservatorio Mediterraneo dell’Istituto S. Pio V, la “riviera di Gaza” e il piano E1 “rischiano di trasformare il conflitto in una condizione permanente, capace di ridefinire gli equilibri regionali e internazionali”

Due giorni fa, il presidente statunitense, Donald Trump, dichiarava alla stampa nello Studio Ovale che gli Stati Uniti sono “in profonde negoziazioni con Hamas” per arrivare a un accordo che prevede lo scambio tra ostaggi e cessate il fuoco a Gaza. Ha insistito sul messaggio inviato al movimento palestinese: “Se rilasciate immediatamente gli ostaggi accadranno cose positive, ma se non lo fate sarà dura e spiacevole per voi”, pur sottolineando che la decisione finale su come procedere con l’intesa spetterà a Israele. Secondo Barak Ravid, giornalista di Axios sempre il più informato su certe dinamiche, l’inviato speciale per i negoziati della Casa Bianca, Steve Witkoff, ha fatto recapitare messaggi a Hamas attraverso l’attivista israeliano Gershon Baskin, già protagonista del negoziato che portò alla liberazione di Gilad Shalit. La proposta include principi generali oltre allo scambio dei 48 ostaggi rimasti con la fine delle ostilità.

Queste notizie arrivano oggi, 7 settembre 2025, in una data dal forte valore simbolico: ricorrono infatti 23 mesi esatti dall’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023, che innescò la spirale di guerra ancora in corso. Il contesto temporale rafforza il peso politico e mediatico di ogni segnale di apertura o di irrigidimento, mentre la dimensione simbolica grava sulla memoria collettiva e sugli equilibri regionali.

Per Giuseppe Dentice, che sin dalle prime ore dell’inizio di questa stagione di guerra commenta mensilmente con Formiche.net l’evoluzione degli eventi, le mosse americane vanno lette non solo come un tentativo di chiudere la partita umanitaria, ma come una componente di una strategia più ampia. Secondo l’analista dell’Osservatorio Mediterraneo (OsMed) dell’Istituto per gli Studi Politici S. Pio V, il progetto della cosiddetta “riviera di Gaza”, collegato al piano statunitense “GREAT Trust“, non è tanto un piano di ricostruzione quanto “un disegno di ingegneria politica e demografica volto a marginalizzare i palestinesi”. Dentice richiama i dettagli del piano, che punta a trasformare la costa in un hub turistico ed economico sotto controllo israeliano, confinando la popolazione palestinese in aree ristrette come al-Mawasi e Rafah o spingendola verso un esodo forzato in Sinai. Non a caso attivisti e Autorità Nazionale Palestinese lo percepiscono come una “nuova Nakba”.

Secondo l’analista, l’intreccio tra il negoziato sugli ostaggi e la prospettiva di una gestione post-bellica dei territori rischia di rafforzare le accuse di deportazione e annessione. Dentice sottolinea che il punto cruciale è la Cisgiordania: la mozione della Knesset per “applicare la sovranità israeliana”, rappresenta per lui un passaggio simbolico che “mira di fatto a rendere impossibile la creazione di uno Stato palestinese indipendente”. In questa prospettiva cita il piano E1, che collegherebbe Ma’ale Adumim a Gerusalemme Est spezzando la continuità territoriale palestinese, e ricorda come l’obiettivo dichiarato della destra ultra-religiosa sia di annettere fino all’82% del territorio. Parallelamente, le violenze dei coloni e le demolizioni stanno producendo una ”espulsione silenziosa” delle comunità rurali, alterando equilibri demografici e sociali.

Le conseguenze regionali, chiaramente collegate, appaiono pesanti. Dentice spiega che i Paesi firmatari degli Accordi di Abramo si trovano davanti a un bivio: se da un lato gli Emirati e il Bahrain hanno interesse a mantenere la cooperazione con Israele, dall’altro le loro opinioni pubbliche non possono accettare l’annessione della Cisgiordania. “Un progetto di sviluppo sotto occupazione permanente senza coinvolgimento palestinese e, soprattutto, l’annessione unilaterale della Cisgiordania – avverte – sarebbero delle linee rosse inaccettabili che minerebbero la credibilità stessa dei processi di normalizzazione”.

Sul piano internazionale, Dentice mette in luce un doppio livello: da un lato l’attivismo della Corte Internazionale di Giustizia e della Corte Penale Internazionale, dall’altro le divisioni all’interno dell’Occidente. Mentre Washington mantiene una linea di difesa compatta a favore di Israele, l’Unione Europea è attraversata da fratture crescenti, con alcuni Stati pronti a riconoscere la Palestina e altri, come Italia e Germania, che mantengono prudenza. “L’inazione del Consiglio di Sicurezza, l’attivismo delle corti internazionali e le divisioni europee – conclude Dentice – evidenziano un quadro di governance globale frammentato e incapace di esercitare pressioni efficaci su Israele”.

La combinazione di cronaca e ricorrenza arriva dunque in un momento in cui si segna un nuovo, potenziale passaggio delicato: “Da un lato esiste la possibilità di interrompere la logica delle annessioni e aprire spazi per un negoziato serio sulla prospettiva dei due Stati e degli ostaggi, dall’altro il rischio concreto è che la sovrapposizione delle crisi di Gaza, Gerusalemme e Cisgiordania generi un conflitto senza sbocchi, permanente e destinato a ridefinire gli equilibri regionali e internazionali”.


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