In Russia le insolvenze sui prestiti sono ormai all’ordine del giorno. Ma anche in Cina i grandi istituti hanno un problema non da poco. I consumi interni sono al palo, mentre Pechino pensa solo ad aggredire i mercati esteri. E così la domanda di credito precipita
Sembra di essere in Russia. Ma è la Cina. Eppure un filo rosso c’è e sono le banche. In Russia, non è certo un mistero, gli istituti di credito sono messi male, e molto. Colpa dei tassi, al 20%, che rendono impossibile concedere nuovi finanziamenti e riavere indietro il denaro prestato, perché costa troppo. E le famiglie, le imprese non ce la fanno. Non stupisce, dunque, che Mosca sia pronta a intervenire con salvataggi di Stato, ai primi vagiti di crisi sistemica, che sarebbe il colpo di grazia per un’economia mai così tanto fragile e priva di certezze, a cominciare dalle entrate generate dalla vendita di petrolio.
In Cina la musica è la stessa, anche se la sorgente è diversa. Le cinque più grandi banche del Dragone, tutte statali e quelle che, per intendersi, tengono in piedi la seconda economia globale, stanno fronteggiando una compressione inaspettata dei margini e degli utili. Si tratta di un problema non da poco per Pechino, dal momento che si tratta dei motori dell’economia cinese, senza i quali ogni speranza di reggere il ritmo della concorrenza con gli Stati Uniti, risulta vano. Motivo? I cinesi non consumano più, il mercato è saturo, a Pechino l’unica cosa che conta è esportare, invadere gli altri mercati e dare vita a nuove forme di colonialismo industriale e manifatturiero, Africa o Occidente fa poca differenza.
E dunque, gli istituti di credito, a cominciare dall’Industrial&Commercial Bank of China (Icbc), hanno in serie in queste ore annunciato utili in calo o deboli nella prima metà del 2025. Nel complesso, le cinque banche più grandi della Repubblica popolare hanno accantonato accantonamenti per perdite su prestiti pari a 3,5 trilioni di yuan (630 miliardi di dollari di Singapore) nella prima metà dell’anno, con un aumento di quasi il 6% rispetto alla fine dell’anno scorso. Le loro finanze sono sottoposte a crescente pressione a causa del loro impegno a contribuire alla ripresa economica con prestiti a basso costo e sussidi ai prestiti.
La ragione c’è. Se i cinesi consumano poco, hanno bisogno di meno soldi. E se il mercato domestico non tira come quello esterno, la domanda di credito langue. “Un mercato immobiliare che si ritira e l’inasprimento della spesa dei consumatori stanno rimodellando la domanda di prestiti e la qualità del credito delle banche”, ha dichiarato Nicholas Zhu, vicepresidente e senior credit officer di Moody’s. “Questa è un’inversione strutturale e un fenomeno preoccupante per l’industria”. C’è chi ha fatto peggio. Ccb e Agricultural Bank of China hanno addirittura riportato un aumento dei default sui prestiti al consumo e un peggioramento dei rapporti di indebitamento per il quarto trimestre consecutivo. I prestiti al consumo in default presso i cinque istituti di credito sono più che raddoppiati dalla fine del 2023. Cina e Russia una cosa in comune ce l’hanno: banche dalla scarsa salute.