L’alleanza tra il capo del Cremlino e il leader cinese non è mai stata così tanto solida. I dazi hanno spinto l’India tra le braccia della Cina, ora gli Stati Uniti potrebbero essere più isolati di quanto si creda. Il gasdotto Power of Siberia 2? Non è detto che si faccia. Sui pannelli solari l’Italia e l’Europa si sono mosse con 20 anni di ritardo, la vera battaglia deve essere sulle auto elettriche. Intervista ad Alberto Forchielli, economista, saggista e imprenditore
Strette di mano, tanta politica industriale e una visione comune per un nuovo ordine mondiale. In tre parole, mai così uniti. Xi Jinping e Vladimir Putin vanno avanti a braccetto, nel nome di un’alleanza che, almeno dal loro punto di vista, è molto politica e tanto strategica. All’indomani del vertice della Shanghai cooperation organization, che ha ribadito la sfida del blocco orientale a quello occidentale e sancito il riavvicinamento dell’India alla Cina, il capo del Cremlino è volato a Pechino per incontrare il suo omologo cinese. E domani, insieme al dittatore nordcoreano Kim Jong Un e allo stesso Xi, parteciperà alla parata militare che celebra l’anniversario della resa del Giappone nella Seconda guerra mondiale.
Il senso dell’incontro è tutto in due particolari, che poi tanto tali non sono. La cronaca politica racconta di relazioni tra i due Paesi (Cina e Russia) attualmente a un “livello senza precedenti”, Putin dixit. Ma anche della firma di oltre 20 documenti sulla cooperazione bilaterale che riguardano, in particolare, l’energia, l’aerospazio e l’intelligenza artificiale. Tra questi, un accordo giuridicamente vincolante per la costruzione del gasdotto Power of Siberia 2 verso la Cina e del gasdotto di transito Soyuz Vostok attraverso la Mongolia: la Russia attualmente fornisce gas alla Cina tramite un altro gasdotto, Power of Siberia, con una capacità di trasporto prevista di 38 miliardi di metri cubi all’anno. Dal 2027, la cosiddetta rotta dell’Estremo Oriente dovrebbe aumentare i flussi annuali russi verso la Cina di altri 10 miliardi di metri cubi. E l’Occidente? Quale il messaggio di questi giorni a Donald Trump? E quale il peso specifico delle citate alleanze? Formiche.net ne ha parlato con Alberto Forchielli, economista, saggista e imprenditore, grande esperto di cose d’Oriente.
La sensazione che si è avuta guardando all’incontro tra Putin e Xi è che non siamo mai stato così uniti. Condivide?
Altroché se condivido. Saranno almeno quaranta volte che si incontrano. Sono due leader molto legati tra loro, almeno negli ultimi anni. Faccio notare che quando Putin afferma che le relazioni tra i due Paesi non sono mai stati così buoni, ha ragione. Se pensiamo che fino agli anni 60 erano sul punto di farsi la guerra, dopo che alla fine del secondo conflitto mondiale la Russia aveva sottratto tante terre ai cinesi, quella che vediamo oggi è certamente una dimostrazione di grande amicizia. Direi quasi che in questo momento i rapporti tra Pechino e Mosca sono quasi idilliaci.
Talmente idilliaci che Putin e Xi hanno firmato un primo memorandum per la realizzazione del gasdotto Power Siberia 2. Che impatto può avere una simile infrastruttura per gli equilibri energetici mondiali?
L’impatto può essere importante, specialmente per la Russia, perché ha bisogno di vendere il gas che l’Occidente non compra più. Però se proprio vuole la verità non sono mica tanto convinto che alla fine questo gasdotto si farà.
E perché scusi?
Perché la Cina di tutto quel gas non ne ha bisogno, ne ha già abbastanza. E poi, ammesso e non concesso che alla fine l’infrastruttura si faccia e che la Cina compri quel gas, lo farà a un prezzo molto scontato. Sarà quasi una rapina, ai danni dello stesso Putin.
Forchielli, dalla Sco è uscito un riavvicinamento tra India e Cina. Lei che lettura dà?
Direi che era quasi inevitabile che accadesse e il merito, o la colpa, dipende dai punti di vista è degli Stati Uniti. Modi (Narendra, premier indiano, ndr), dopo che gli Usa hanno imposto all’India dazi al 50%, doveva fare qualcosa, muoversi, non restare imbambolato dinnanzi ai suoi elettori. E la mossa di riavvicinamento alla Cina altro non è che la reazione politica e anche strategica ai dazi americani. E poi Modi è rimasto ferito da Trump.
Quando? E come?
Quando Trump si è intestato la pace tra India e Pakistan. Modi voleva anche un po’ del merito. Poi sono arrivati i dazi e Nuova Dehli si è sentita all’angolo, reagendo di pancia con la propria opinione pubblica. La reazione è stata velenosa, senza dubbio. Adesso, dopo questo strappo, chiamiamolo così, l’India non può più dire di essere alleata dell’Occidente nel contenimento della Cina. Ha subito un trauma forte e ora cavalca la strada dell’anticolonialismo.
Mettendo a sistema tutto questo, che messaggio arriva a Trump dalla Sco e dal vertice Xi-Putin?
Il messaggio è che gli Stati Uniti sono un po’ soli, un po’ isolati. Sì, c’è l’Europa, ma ci sono tanti distinguo. I rapporti tra Ue e Usa non sono dei migliori in questo momento. E poi, altro messaggio, il blocco asiatico, con baricentro Cina, in questo momento è molto più compatto di quanto si creda. Se non altro più di quello atlantico.
Nei giorni scorsi, l’Italia ha messo al bando i pannelli solari cinesi, primo Paese in Europa. Le sembra una mossa corretta?
Forse, ma molto ma molto tardiva. Bisognava agire vent’anni fa, non adesso. Sarebbe molto meglio mettere dei forti dazi sulle importazioni cinesi, a cominciare dalle auto elettriche, più che agire sui pannelli. E poi guardi che l’Europa non dipende in tutto e per tutto dalla Cina, ma solo su alcune produzioni. Ma pensare a una filiera del fotovoltaico che possa competere con quella cinese è abbastanza utopico. Al contrario, l’Europa può fabbricarsi tutte le auto elettriche che vuole. Invece che salvare l’auto, pensiamo a salvare i pannelli. Mi pare una follia.