Si è svolto dal 22 al 24 settembre, eccezionalmente fuori Roma, il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. Il card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nella sua intorduzione ha sottolineato il “bisogno (…) di esempi concreti come quello di Gorizia per dimostrare che la pace non è un’utopia per ingenui”…
Il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana si è svolto, dal 22 al 24 settembre, eccezionalmente fuori Roma, a Gorizia. La scelta della sede, suggerita da mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia, ha valorizzato la vocazione della città ad “essere segno visibile di unità e di dialogo” (San Giovanni Paolo II), nell’anno in cui è insieme a Nova Gorica capitale europea della Cultura, prima capitale transfrontaliera. Nel contempo, i lavori del Consiglio Permanente, così come i due appuntamenti pubblici tra cui la Veglia di preghiera per la pace nel mondo, hanno messo in evidenza quanto qui – in realtà, l’autore, Robert D. Kaplan, si riferisce all’Adriatico, da cui il titolo del suo libro – “è distillata l’Europa, in una geografia chiara e comprensibile a tutti. È il globo in miniatura”.
Nella sua Introduzione, il card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha sottolineato il “bisogno (…) di esempi concreti come quello di Gorizia per dimostrare che la pace non è un’utopia per ingenui”. Da questo “osservatorio del tutto unico e privilegiato”, nell’incontro con i Presuli delle Conferenze Episcopali Slovena e Croata e nella successiva Veglia di preghiera per la pace nel mondo, i Vescovi italiani hanno testimoniato come “abitare la frontiera” sia “abitare la “saggezza dei limiti” ma anche la “cultura dell’incontro” (card. J. Tolentino de Mendonca).
È stata davvero profetica, una grande lezione di gesti e di politiche di riconciliazione (incluso il lungo cammino condiviso tra l’Arcidiocesi di Gorizia e la Diocesi di Capodistria), la veglia che si è tenuta nell’evocativa Piazza della Transalpina, ancora di confine (tra Italia e Slovenia) ma senza più barriere, non più elemento di divisione ma di comune esperienza di vita.
Nel loro Appello congiunto per la pace, le Chiese in Italia, Slovenia e Croazia si sono impegnate ad essere “case della pace” e a “promuovere – nei rispettivi territori, con i giovani, le famiglie, le scuole – proposte di educazione alla non violenza, iniziative di accoglienza che aiutino a trasformare la paura dell’altro in occasioni di scambio, momenti di preghiera e attività che favoriscano la cultura dell’incontro, del dialogo ecumenico e interreligioso, del disarmo e della solidarietà”. Hanno ribadito l’importanza del coinvolgimento di tutti, “a partire dai responsabili dei popoli e delle nazioni”, nell’ottica di “soluzioni capaci di garantire sicurezza e dignità per tutti”.
Sempre in riferimento al filo rosso del confronto, i Vescovi italiani hanno approvato la Nota “Sia pace in Terra Santa”; nel corso dei lavori, è stato illustrato loro lo schema di un documento sull’educazione alla pace che sarà presentato all’Assemblea Generale straordinaria (della Cei) di novembre.
Durante questa tre giorni, lo “spirito” di Gorizia, forgiato dagli errori, dalle ferite e dalle sofferenze del passato, accresciuto grazie all’impegno infaticabile e coraggioso di uomini e donne diventati “esperti di riconciliazione” e ad occasioni qualificate di dialogo autentico come gli Incontri Culturali Mitteleuropei, è stato riaffermato quale forza viva, prima di tutto nello scenario adriatico-ionico. Peraltro, a distanza di 25 anni, dalla Carta di Ancona, atto fondativo del Forum delle città adriatiche e ioniche, la sessione autunnale del Consiglio Permanente ha confermato il ruolo strategico e geopolitico di quest’area (meglio, Macroregione), pure come “metafora geografica di un’era che volge al termine: l’età moderna in Europa” (R. D. Kaplan). Con un’indicazione operativa, altrettanto laica valida per credenti e non: “opporre alla globalizzazione dell’impotenza una cultura della riconciliazione”, vale a dire “riparare ciò che è infranto, trattare con delicatezza le memorie che sanguinano, avvicinarci gli uni agli altri con pazienza, immedesimarci nella storia e nel dolore altrui, riconoscere che abbiamo gli stessi sogni, le stesse speranze (…) Così si moltiplicheranno le isole di pace, diventeranno piloni di ponti, affinché la pace possa raggiungere tutti i popoli e tutte le creature” (Leone XIV).