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Seconde a chi? Un nuovo capitolo per le aziende europee della difesa

Se un tempo erano gli americani a fare la voce grossa, qualcosa sta cambiando anche per l’Europa. La guerra in Ucraina ha fatto sì che la sicurezza diventasse una priorità, lasciando emergere diverse realtà. La prova sta nei numeri degli investitori, che non guardano più solo Oltreoceano

Qualcosa è cambiato, anzi più di qualcosa. Se un tempo gli investitori della difesa guardavano con interesse quasi solo ed esclusivamente alle aziende statunitensi, da qualche tempo lo stanno facendo anche con le aziende europee. Ad essere cambiata è, anzitutto, la situazione. La guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina ha riportato le lancette indietro di decenni, con l’Europa che ha messo la sicurezza in cima alle sue priorità. A dare contezza della trasformazione è il Financial Times, secondo cui se nel 2020 e nel 2021 le società del nostro continente avevano racimolato rispettivamente 30 e 150 milioni di euro, a luglio di quest’anno ne erano stati attirati 1,4 miliardi. Dal 2022, la cifra sale a 2,4 miliardi.

Il cambio di passo, sottolinea il FT, è avvenuto a febbraio in seguito alla Conferenza di Monaco, durante cui il vicepresidente americano JD Vance aveva messo in guardia sul rapporto transatlantico. Senza più la certezza assoluta dell’appoggio americano, gli europei hanno compreso di dover prendere in mano la questione relativa alla propria sicurezza. In pochi mesi, le aziende della difesa hanno conosciuto una nuova era.

Soprattutto quelle tedesche, visto che è dalla Germania che è arrivata la spinta maggiore. Il suo fiore all’occhiello è Helsing, valutata ben 12 miliardi di dollari, che si occupa soprattutto di software. Con la guerra però il suo raggio d’azione si è allargato, iniziando a produrre droni, annunciando di fare lo stesso con sottomarini autonomi nel Regno Unito e acquistando il produttore di aeromobili Grob. Un altro unicorno tedesco (aziende valutate oltre 1 miliardi di euro) è Quantum Systems, che già da tre anni avrebbe voluto cimentarsi nella fabbricazioni di armi. Vista la reticenza di alcuni investitori, l’azienda ha trovato un sotterfugi: si chiama Stark, è affiliata ma separata da Quantum Systems, e da quando è nata – appena un anno fa – è una di quelle che crescono più velocemente in Europa (oggi vale mezzo miliardo) tanto che vorrebbe aprire una sua fabbrica a Swindon, in Inghilterra. A fine agosto, le due società hanno annunciato la realizzazione congiunta di un sistema di ricognizione e attacco per i droni da utilizzare in Ucraina. Come Quantum, anche Arx Robotics ha sede a Monaco di Baviera. L’azienda realizza mezzi militari con l’intenzione di allargarsi ai droni terrestri autonomi. Tra i suoi sostenitori vanta anche il Nato Innovation Fund e vorrebbe aprire una fabbrica in Gran Bretagna.

Anche Oltremanica c’è un certo fermento. L’azienda Cambridge Aerospace, guidata dall’ex segretario alla Difesa Grant Shapps, ha lanciato quest’anno il suo primo intercettore (nonché primo prodotto visto che è stata fondata appena un anno fa) a basso costo per missili da crociera e droni di grandi dimensioni. Si chiama Skyhammer e può raggiungere i 30 km di gittata e 700 km/h. L’impulso al settore arriva però anche dal governo, che intende mettere sul piatto 250 milioni di sterline per sostenere la strategia industriale per la difesa e per raggiungere il 2,5% del Pil come promesso in ambito Nato. Sono cambiati i tempi e, insieme loro, anche gli interessi finanziari.


	

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