L’accordo siglato in settimana tra l’azienda bolognese e Leonardo rafforza la produzione italiana di componenti critici per elicotteri e riduce la dipendenza dai fornitori esteri. Intervistato da Airpress, Michele Poggipolini racconta il percorso dal motorsport all’aerospace, le opportunità per le Pmi italiane e una visione che punta su know-how, innovazione e presenza internazionale
Con la firma di un accordo industriale nell’ambito del programma Crescere Insieme promosso da Leonardo, Poggipolini Spa ha consolidato la sua posizione tra i fornitori strategici della Divisione Elicotteri, diretta da Gian Piero Cutillo. L’intesa ha come focus la progettazione e la produzione di giunti flessibili e alberi motore per piattaforme come AW139, AW189, AW169 e AW09. Un passo nella direzione del rafforzamento delle capacità nazionali e della riduzione della dipendenza dai player esteri. Michele Poggipolini, ceo dell’azienda di San Lazzaro di Savena, ne ha parlato con Airpress, spiegando il percorso che ha portato all’accordo, le ricadute per la filiera e la sua visione per il futuro.
L’accordo con Leonardo è stato presentato come un nuovo capitolo della vostra collaborazione con Monte Grappa. Quali sono i punti principali e da dove nasce?
Da tempo vantiamo una partnership consolidata con Leonardo Elicotteri nel settore dei fissaggi critici. Negli ultimi anni abbiamo rafforzato questa collaborazione investendo nell’acquisizione di Aviomec e del plant in provincia di Varese, entrando così nella specializzazione dei sistemi per trasmissioni critiche. Il progetto Crescere Insieme è un’ottima opportunità per riportare in Italia la supply chain di forniture critiche finora affidate a pochi player esteri, garantendo così maggiore capacità produttiva e sicurezza per tutto il comparto.
Perché è così importante riportare questa capacità in Italia? E quali rischi comporta la dipendenza dall’estero?
Il mercato dei componenti critici è sempre stato polarizzato su pochi gruppi, quasi tutti americani. Questo ha creato una situazione fragile: se quei fornitori hanno problemi di capacità o decidono di dare priorità ai clienti statunitensi, anche grandi player come Leonardo o Airbus rischiano blocchi produttivi. È un po’ quello che è successo con Airbus, che ha consegnato meno aerei non per difficoltà interne ma perché mancavano forniture. Per questo è fondamentale avere alternative in Italia ed Europa, così da ridurre la vulnerabilità e assicurare continuità. Per noi è anche una sfida di diversificazione: veniamo dai fissaggi critici, dove siamo tra le pochissime aziende al mondo certificate, e abbiamo scelto di trasferire quel know-how anche ai sistemi di trasmissione.
Molti attori dell’automotive stanno cercando nuove direzioni. Può essere questa un’opportunità per loro?
Assolutamente sì. Noi stessi fino a 15 anni fa eravamo nel motorsport, con il 90% del fatturato nelle hypercar e in Formula 1. Poi, a causa dei cambiamenti nei regolamenti F1 che hanno rivoluzionato la domanda di componenti, abbiamo perso gran parte del mercato e ci siamo dovuti reinventare, entrando nell’aeronautica. Per le Pmi dell’automotive oggi vale lo stesso: se hanno competenze e tecnologie compatibili, possono cogliere l’opportunità di diversificare e inserirsi nella filiera aeronautica. Non è un percorso immediato, servono certificazioni e investimenti, ma prima si comincia, prima si arriva ai risultati. Leonardo ha già presentato a decine di aziende italiane le categorie di prodotto dove ha urgenza: è una chiamata che il sistema deve cogliere.
Nella vostra esperienza diretta tra Italia, Europa e Stati Uniti, quali differenze vede e che insegnamenti si possono trarre?
Negli Stati Uniti il mercato è enorme e ospita molte grandi aziende, mentre in Europa le dimensioni sono più contenute e questo costringe le imprese a investire di più per restare competitive. In America, molti fornitori storici hanno smesso di investire da vent’anni e oggi si trovano con processi troppo manuali e un’età media in produzione vicina ai sessant’anni, senza ricambio generazionale. In Italia ed Europa, invece, abbiamo tecnologie e competenze che possono fare la differenza. Portare questa mentalità e capacità produttiva negli Stati Uniti può aprire grandi opportunità, mentre continuare a investire in Europa è fondamentale per riequilibrare la catena di fornitura e ridurre la dipendenza dalle importazioni.
Qual è la vostra visione per i prossimi anni, dopo questo accordo?
La nostra strategia è chiara: essere sempre più globali, scalare nei mercati strategici e diventare leader nei prodotti critici. Non solo fissaggi di classe C, ma anche sottosistemi per trasmissioni e motori, offrendo soluzioni verticalizzate. Abbiamo già un impianto a Houston e stiamo valutando altre operazioni all’estero, ma il cuore resterà a Bologna, dove ha sede il nostro centro di innovazione e validazione dei processi. Non vogliamo sostituirci ai colossi da 10 o 12 miliardi di fatturato, ma diventare l’alternativa affidabile e tecnologicamente avanzata su categorie di prodotto ad altissimo valore aggiunto. È un percorso di lungo termine, ma l’opportunità di riequilibrare la catena di fornitura e rafforzare la posizione italiana c’è tutta.