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Difesa aerea e produzione in massa, così la Turchia mette gli occhi sull’Europa

La Turchia ha deciso di rendersi sempre più autonoma nel settore degli armamenti, dai droni all’aeronautica, passando per la veicolistica. In particolare, l’accelerazione sulla produzione di sistemi di difesa aerea potrebbe rappresentare la leva di Ankara per penetrare il mercato europeo, soprattutto ad Est, dove la domanda supera (per ora) l’offerta

Durante una cerimonia pubblica ad Ankara, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha presentato i primi sistemi operativi del programma nazionale di difesa aerea, il cosiddetto Steel Dome. Inoltre, ha anche annunciato l’inizio dei lavori per l’Ogulbey Technology Base, un polo industriale dal valore 1,5 miliardi di dollari e che, nei piani di Ankara, diventerà il più grande impianto in Europa dedicato alla difesa aerea. 

Cos’è lo Steel Dome

Lo Steel Dome, similmente al quasi omonimo Iron Dome israeliano, è concepito come un sistema di difesa aerea multi-strato, composto da batterie missilistiche a lungo, medio e corto raggio, radar avanzati, contromisure elettroniche e strumenti per contrastare droni e armi autonome. I vari sistemi sono connessi attraverso un’unica rete di comando centralizzata e supportata dall’intelligenza artificiale. Tra i componenti principali ci sono il sistema a lungo raggio Siper, progettato per intercettare missili balistici e da crociera; le batterie Hisar-A+ e Hisar-O+ a medio raggio, e Korkut, un sistema mobile a corto raggio basato su cannoni da 35 millimetri (già ampiamente in uso sulle navi turche), destinato a neutralizzare droni e velivoli a bassa quota. Il “pacchetto Steel Dome”, inoltre, includerà anche assetti spalleggiabili da fanteria, come il Sungur, e radar elettro-ottici avanzati, affiancati da contromisure elettroniche e sistemi a energia diretta ancora in fase di sviluppo. 

Missili russi e aerei americani? Meglio se sono entrambi turchi

L’intero programma Steel Dome (e non solo) può essere letto come la risposta turca all’Affaire S-400, che ha visto Ankara venire esclusa da diverse liste di possibili compratori di piattaforme difensive occidentali (in primis l’F-35) a seguito dell’acquisto del noto sistema di difesa aerea russo. L’esclusione, voluta fortemente dagli Usa nel 2020 per spingere la Turchia a non effettuare ulteriori acquisti russi, è risultata in un poderoso sforzo da parte di Ankara per rilanciare la propria produzione domestica. I nuovi sistemi di difesa aerea vanno, infatti, ad affiancare i numerosi programmi recentemente avviati per lo sviluppo di capacità indigene turche nel segmento Difesa. È il caso, ad esempio, del caccia di quinta generazione Kaan, sviluppato dalla para-statale Turkish aerospace industries (Tai) e che punta a far entrare Ankara nel ristretto club di Paesi in grado di schierare questo tipo di assetti. 

Le ambizioni verso Est

Il nuovo sito produttivo di Ogulbey servirà ad Aselsan, campione nazionale nel settore, per raddoppiare la propria capacità produttiva e avviare una trasformazione in attore competitivo anche livello globale. Erdogan d’altronde lo ha detto chiaramente, l’obiettivo non è solo equipaggiare le Forze armate turche, ma anche creare un prodotto in grado di attrarre clienti dall’estero. Qui entra in gioco l’Europa. O, almeno, una parte d’Europa. La guerra in Ucraina ha riportato in primo piano la vulnerabilità del continente rispetto alle minacce aeree e, nonostante qualche progresso (come l’aumento produttivo messo in campo da MBDA), il gap rimane evidente, specialmente ad Est. Se infatti l’Europa occidentale dispone di sistemi off-the-shelf (vedasi il Sampt-T italo-francese) e di programmi in fase di consolidamento (l’European sky shield initiative a guida tedesca) che, seppur sottodimensionati, offrono già una base di partenza, gli Stati del blocco orientale (dai Baltici alla Bulgaria) si trovano sprovvisti di fornitori in grado di rispondere celermente alle loro richieste. 

È in questo spazio che Ankara punta a inserirsi. Proporre un sistema nazionale già operativo e producibile su vasta scala può rappresentare un’ottima leva di penetrazione commerciale, tanto più se accompagnata da formule di cooperazione industriale e trasferimento tecnologico. Non è un caso infatti che Aselsan abbia fissato l’obiettivo di portare al 50% la propria quota di export entro il 2030. In tempi diversi questo obiettivo avrebbe richiesto molto più tempo, ma con la crescente domanda europea di sistemi di difesa aerea oggi appare realizzabile. Certo, c’è sempre la possibilità che l’Est Europa si rivolga agli Usa e ai loro sistemi, ma è probabile che, su questo aspetto, le aziende turche controbilanceranno l’offerta con prezzi inferiori e tempi di consegna ridotti. D’altronde la Turchia ha dimostrato a più riprese negli ultimi anni di saper applicare non poco pragmatismo nei rapporti esteri e, con un’Europa che punta a bruciare le tappe del riarmo, potrebbe trovare terreno fertile per dare l’assalto ad ampie fette del mercato non ancora messe in sicurezza dai produttori europei. E, con oltre 3,000 aziende attive nel settore, dispone di tutte le carte in regola per farlo.


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