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Tokyo mette sul piatto 60 miliardi per la Difesa. Caccia e satelliti tra le priorità

Il Giappone intende stanziare per il 2026 un bilancio della Difesa record da 8,8 trilioni di yen. Il piano punta a sviluppare le capacità multidominio, dai sistemi navali integrati ai nuovi caccia F-35, passando per cyber, elettronica e assetti spaziali. Analogamente ad altri Paesi, il riarmo giapponese, campione del pacifismo post-Seconda guerra mondiale, assurge a metro di misurazione dei profondi cambiamenti in corso sul piano internazionale

Il governo giapponese ha presentato per il 2026 una richiesta di bilancio per la Difesa da 8,8 trilioni di yen, corrispondenti a circa 60 miliardi di dollari. Una cifra record per il Paese del Sol Levante, che conferma la traiettoria intrapresa negli ultimi anni che punta a rafforzare la postura militare di Tokyo, rendere credibile la capacità di risposta autonoma e spingersi verso domini — come lo spazio — finora marginali nella dottrina giapponese. È un passo ulteriore nel progressivo abbandono del pacifismo post-bellico, in un contesto regionale particolarmente segnato dalla sempre maggiore assertività della Marina militare cinese. Dopo gli 8,7 trilioni di yen approvati per il 2025, la richiesta per il 2026 si colloca in una traiettoria che riflette la volontà di dotarsi di capacità di strike-back in una cornice di difesa reattiva. 

Su cosa punta la difesa giapponese

La richiesta di budget, qualora confermata, andrà a interessare un ampio spettro di capacità delle Forze di autodifesa giapponesi (Jsdf). Sul fronte marittimo, spicca il finanziamento, dal valore di 128 miliardi di yen, del programma Shield (Synchronized, hybrid, integrated and enhanced littoral defense), un sistema multilivello che integra droni aerei, navali e subacquei, concepito per la sorveglianza continua e la capacità di ingaggio rapido lungo le coste. 

Nel dominio aereo, il pacchetto più consistente riguarda l’acquisizione di dodici nuovi caccia F-35, nove nella versione A (a decollo convenzionale) e tre nella versione B (a decollo corto), per un totale di oltre 138 miliardi di yen. Con questa tranche il Giappone porterà la propria flotta di caccia di quinta generazione più vicina all’obiettivo finale di 147 unità, destinando i modelli B alle portaerei leggere classe Izumo, recentemente adeguate con ponti rinforzati e sistemi di supporto. A questo si aggiunge il rafforzamento della logistica con due nuovi tanker KC-46A, che si aggiungeranno ai sei già in servizio, con un’ulteriore espansione già approvata fino a 13. 

Il budget prevede inoltre risorse per il potenziamento dei sistemi di difesa aerea e per il proseguimento del programma del caccia di sesta generazione Gcap con Regno Unito e l’Italia. Anche i domini cyber ed elettronico saranno interessati, con fondi dedicati per unità specializzate nella guerra elettronica e per il consolidamento della catena C4ISR, centrale per le odierne operazioni multidominio.

Un’altra quota significativa riguarda la logistica e le infrastrutture, con Tokyo che intende investire in basi avanzate nelle isole meridionali — sempre più interessate da attività navali cinesi —, negli stock di munizioni e carburante e in una rete di manutenzione più capillare, riducendo la dipendenza dalle forniture esterne. 

Il Sol Levante guarda anche alle orbite

Peraltro, Tokyo ha recentemente avviato una cooperazione con l’Ucraina nel campo dell’intelligence satellitare. La partnership riguarderà la condivisione di dati di osservazione dallo spazio, il supporto tecnico alle infrastrutture ucraine e lo sviluppo di sistemi congiunti per l’analisi delle immagini, con l’obiettivo di rafforzare le capacità di sorveglianza e targeting dell’Ucraina. Si tratta di un’intesa che poggia sul crescente investimento giapponese nello spazio, settore dove Tokyo ha istituito un’unità militare dedicata alla protezione dei satelliti. Secondo il premier giapponese, Fumio Kishida, l’intesa rileva la sempre maggiore interrelazione tra il teatro euro-atlantico e quello indo-pacifico, le cui dinamiche securitarie sono intrinsecamente legate. “La sicurezza dell’Europa e dell’Indo-Pacifico sono inseparabili”, ha affermato. “Oggi l’Ucraina, domani potrebbe essere l’Asia orientale”. 

Addio all’era del pacifismo nipponico?

Il Giappone, già dai tempi di Shinzo Abe, ha intrapreso un percorso di progressivo allontanamento dalla dottrina pacifista del dopoguerra. Pur mantenendo i limiti costituzionali riguardanti la funzione unicamente difensiva delle Jsdf, Tokyo si sta muovendo verso la configurazione di una difesa reattiva, vale a dire una difesa che, pur mantenendo il focus sulla protezione dei confini e delle acque territoriali nazionali, sia in grado di rispondere ad eventuali aggressioni anche al di fuori delle proprie aree operative. Di qui l’accelerazione sulle capacità di deep strike, ritenute centrali per aumentare la deterrenza convenzionale nei confronti di Pechino.

Come nel caso tedesco, le rinnovate ambizioni securitarie di Tokyo vanno di pari passo col progressivo deteriorarsi del modello multilaterale e con l’affermarsi di un palcoscenico globale sempre più caratterizzato da un certo “darwinismo geopolitico”, che vede nella Difesa un elemento cardine della conduzione della politica estera. Le proiezioni sul rafforzamento delle Forze armate giapponesi segnalano senz’altro un salto di qualità per le ambizioni strategiche nipponiche, tuttavia tale salto non è esente da criticità e interrogativi. L’acquisto massiccio di sistemi dall’estero, la crisi demografica che limita il reclutamento di nuovo personale e la necessità di consolidare l’industria della difesa nazionale restano sfide aperte. Non va dimenticato inoltre che anche altri attori regionali — dalla Corea del Sud all’Australia — stanno rafforzando le proprie capacità militari, segno di un contesto strategico internazionale sempre più competitivo e instabile, che vede proprio nel cambio di direzione di Paesi come Giappone e Germania una delle sue manifestazioni più chiare.


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