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L’attacco ibrido russo sull’Europa non è l’inizio di una guerra. Parla Camporini

L’Europa sta affrontando settimane di tensioni ibride tra incursioni di droni, cyberattacchi e violazioni dello spazio aereo alleato. Tutto porta alla Russia, la quale però non starebbe preparando un attacco all’Europa, quanto più una pressione rafforzata rispetto al solito. Sono vere le voci che parlano di possibile escalation? Che rischi corre l’Italia? L’intervista con il generale Vincenzo Camporini

Da ormai diverse settimane in Europa si moltiplicano eventi preoccupanti: droni che entrano nei confini polacchi, avvistamenti di quadricotteri nei paraggi delle infrastrutture critiche nel Baltico, attacchi informatici contro gli aeroporti e la violazione dello spazio aereo estone da parte di due caccia. Episodi difficili da liquidare come semplici coincidenze. Tutti gli indizi portano a Mosca, che punta proprio sul panico per destabilizzare le società europee. Ma la situazione potrebbe essere meno grave di quanto non si pensi. Airpress ne ha parlato con il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa.

Generale, come dobbiamo interpretare gli episodi delle ultime settimane, dai disturbi al Gps dell’aereo di von der Leyen ai droni abbattuti, fino agli attacchi informatici in Europa?

Bisogna evitare di alimentare allarmismi ingiustificati. Per esempio, il problema al Gps dell’aereo di Ursula von der Leyen non ha provocato un’emergenza, ma solo la necessità di ricorrere a procedure tradizionali che i piloti conoscono bene. Tuttavia, se presi nel loro insieme, questi eventi assumono un significato diverso e l’ipotesi di una campagna volta a mettere in difficoltà le nostre società non è affatto peregrina, anche se deve essere suffragata da indagini approfondite, che sono certo siano già in corso.

Questi attacchi rientrano quindi in una strategia di pressione sull’Europa per ridurre il sostegno all’Ucraina?

Sì, credo che sia questa la logica di fondo. Le operazioni ibride non mirano tanto a colpire militarmente, quanto a creare insicurezza e instabilità. Disturbare infrastrutture sensibili significa insinuare il dubbio che sostenere Kyiv abbia un costo troppo alto per le nostre società. In questo senso, la guerra ibrida diventa uno strumento per logorare il consenso interno ai governi occidentali, riducendo la volontà politica di proseguire nel sostegno all’Ucraina. È una pressione subdola, perché non appare come un attacco frontale, ma mina lentamente la fiducia dei cittadini e la coesione delle democrazie.

Tra l’altro, le elezioni in Moldavia di ieri hanno visto prevalere la candidata pro-Europa. Può essere un ulteriore obiettivo per Mosca?

Sì. La Moldavia è da tempo considerata un obiettivo immediato della Russia. Non dimentichiamo che sul territorio, nella regione oltre il Nistro, è presente una guarnigione russa con consistenti depositi militari. Quei soldati avrebbero dovuto smobilitare negli anni 90, ma sono ancora lì. Le elezioni erano molto attese e il risultato è positivo, ma non mancheranno sicuramente contestazioni e denunce di brogli da parte degli sconfitti. 

Riguardo all’Ucraina, negli ultimi mesi sembrava essersi aperto uno spiraglio di negoziato. Ora persino Trump lamenta di essere stato abbandonato da Putin. È ancora realistico pensare a una trattativa?

No, non lo è mai stato. Le condizioni poste da Mosca non sono cambiate e tutti, da Putin a Lavrov a Peskov hanno sempre ribadito le stesse richieste: un’Ucraina con un governo fantoccio, disarmata, privata di parte del territorio e senza garanzie di sicurezza né ingresso nella Nato. Pretese inaccettabili, che escludono ogni margine reale di trattativa. Mi dispiace che le aspettative “sentimentali” di Trump siano state disattese da Putin, ma mi pare evidente che quel rapporto di fiducia personale non sia affatto biunivoco.

Recentemente Zelensky ha avvertito che anche l’Italia potrebbe diventare bersaglio di azioni ibride. È un rischio concreto?

Tecnicamente sì. Se si riesce a disturbare gli aeroporti in Danimarca, lo stesso può accadere in Italia. Non servono missili lanciati dalla Russia, bastano strumenti facilmente trasportabili e usati direttamente da dentro il territorio. Più delicata è, secondo me, la questione dell’informazione. Nel nostro Paese esistono presenze mediatiche che diffondono posizioni filo-russe, sicuramente supportate da Mosca e pronte ad amplificarne la propaganda. È una forma di guerra ibrida già in corso, volta a dissuadere i cittadini dal sostenere Kyiv.

Il Comitato militare della Nato, riunitosi a Riga, ha ribadito che reagirà “in modo risoluto e proporzionato” a ogni provocazione. Come va letta questa posizione?

È la linea di sempre, coerente con lo spirito dell’Alleanza dal 1949. La Nato non aggredisce, ma reagisce nel pieno rispetto del diritto internazionale e con regole di ingaggio prudenti che hanno sempre caratterizzato le operazioni Alleate. Alcune recenti dichiarazioni di leader occidentali sono andate oltre i toni abituali, ma la realtà è chiara e si risponde solo se vi è un’azione ostile concreta.


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